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Su smettere di dire «fai il bravo» a un bimbo che piange

Carlotta Cerri
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Al mercato. Una mamma tiene in braccio il suo bambino di circa 6 mesi mentre compra le verdure. Lui osserva tutto, tutti i colori, è un'esplosione sensoriale, è ipnotizzato, concentrato, calmo, nel suo stato naturale: esplorazione e apprendimento sensoriale.

Appena la mamma lo mette nel passeggino per pagare, lui inizia a piangere. La mamma si agita. Dice prontamente a tutti: "È stato bravo fino ad ora" e al bambino: "Sii buono! Perché fai così adesso?”.

Perché?

Perché da dentro il passeggino il cielo è grigio e non c'è niente di interessante da guardare, ecco perché.

Il bambino non è cattivo, sta comunicando.

Il pianto è il modo che il bambino ha per comunicare ciò che sente, ma spesso vedo che il pianto del bambino è associato alla negatività, al "non essere buono".

È ora di scrollarsi di dosso questa mentalità: il pianto di un bambino non è “essere cattivo”, è comunicazione, è linguaggio.

Dire "Sii buono" quando un bambino piange invia i messaggi sbagliati: "Quando piangi, sei cattivo!", "Sei buono solo quando stai calmo e in silenzio".

Dobbiamo cambiare questa mentalità! Un bambino che piange è un bambino che parla.

Dobbiamo smettere di sentirci in dovere di giustificare il pianto di un bambino. Quando tuo figlio piange, non devi spiegare niente a nessuno; potresti invece interpretare ad alta voce quello che sta cercando di comunicare: “Ah, mi stai dicendo che preferivi guardare le verdure? Ti capisco, sono molto più colorate, vero?”.

Non è solo un grande esercizio di empatia per te, è anche una mentalità sana da diffondere e a lungo termine invia un messaggio positivo a tuo figlio.

Tutti vincono (anche le generazioni future!).

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