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People — per Stefania

Carlotta Cerri
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Grazie a Ste per l’ispirazione di questo post e di molti altri a venire.

Credo sia quasi una deformazione psicologica. Non mi capita mai di guardare le persone per un desiderio fine a se stesso. Mi ritrovo, invece, a scrutarle, fissarle, studiarle, analizzarle, criticarle anche, nel senso di esserne critico. Non si tratta di volontà, ma piuttosto di un'impellente necessità: la gente ha un effetto calamita sul mio sguardo, ogni persona è un libro da sfogliare, ogni movimento un film da recensire, ogni suono la nota dominante per accordare la chitarra.

E tutto si intensifica con le persone che amo, che diventano il testo di un esame a cui non voglio arrivare impreparata. Una lieve smorfia della bocca quando si apre in un sorriso, il modo di infilarsi la giacca, di cambiare le marce alla guida, di tenere la sigaretta, di impugnare il ciondolo della collana sotto stress, di aprire la borsa, di scrivere gli SMS, la posizione delle dita mentre il corpo si diletta in una salsa, lo sguardo innamorato, quello pensieroso, quello affamato perfino, il colore degli occhi che cambia se bagnati dal pianto, la posizione dei piedi sotto il tavolo da pranzo.

Sono spesso stata criticata in passato per questo mio curioso vizio e, spesso, mi sono sentita in dovere di scusarmi. Fino a quando, sedute ad un tavolino del Vincafé, Alessandra, una persona che stimo molto, artista e anima sensibile, mi ha detto: «In tutta la nostra conversazione ho sentito il tuo sguardo. Come uno strumento che legge l'anima. È bellissimo, sfruttalo». Ed effettivamente sì, è bellissimo.

Non mi stanco di ripeterlo. La gente è uno spettacolo di straordinaria ordinarietà, di eccezionale meraviglia. Ed è gratuito. Tutti abbiamo un'anima sopita di attore. Chi la risveglia, la porta sui palcoscenici del mondo e ne fa un mestiere. Gli altri si limitano ad usarla inconsapevolmente nelle più variegate situazioni.

Come quella ragazza con gonna a tubino e décolleté a punta-tacco 12 che attraversa la strada con nonchalance, ma appena voltato l'angolo, fuori dall'occhio di bue, esce di scena, si ferma e si guarda intorno per assicurarsi una quinta sgombra. Solo allora, lontana dagli sguardi del suo pubblico, si appoggia al muro e con una smorfia di dolore sul viso, sfila il piede dalla décolleté e lo fa roteare nell'aria, stirando una ad una le dita rosso fuoco. Poi si rimette scarpa e sorriso e prosegue.

Ogni giorno ci viene offerto uno spettacolo in cambio del solo gesto di uscire di casa, andare a comprare il pane, fare la spesa, pagare le bollette in banca, fare le fotocopie dal tabaccaio o camminare per strada.

Io quello spettacolo non posso riprodurlo, ma posso scriverlo. Basta una pagina bianca, un pensiero intenso per chi su quella pagina si trasformerà in parole e zac... ecco l'ispirazione. E quando quelle parole sorprendono o emozionano, allora sì, credo che quello che prima ho chiamato vizio, in realtà sia un dono. O magari, sul mio personale palcoscenico, un superpotere.

Qual è il vostro?

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