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L'unico modo etico per conoscere gli elefanti a Chiang Mai (Thailandia)

Carlotta Cerri
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Prima di leggere, vorrei che sapessi una cosa importante. Il titolo dell’articolo dice “conoscere” e non “vedere”: questo perché l’unico modo etico per VEDERE gli elefanti è in libertà, facendo un safari in cui forse li puoi vedere in lontananza. Questi elefanti con cui interagiamo sono amati, ma non sono liberi, hanno vissuto con l’uomo per generazioni e non potrebbero più sopravvivere nella natura selvaggia. Non ci sono modi etici di conoscere animali selvaggi.


Abbiamo deciso di non portare più i nostri figli agli zoo: non ci piace guardare gli animali in una gabbia (per quanto grande sia) e non vogliamo appoggiare quel business.

Ecco perché, quando eravamo a Chiang Mai in Thailandia, abbiamo pensato che la nostra migliore possibilità di incontrare gli elefanti asiatici sarebbe stata in un santuario etico per elefanti, dove li salvano e danno loro una nuova vita.

Stavo per prenotare il santuario che tutti prenotano — perché le mie estese ricerche mi avevano portato a credere che fosse l’unico santuario veramente etico a Chiang Mai — quando ho avuto un’interessante conversazione con alcuni abitanti del posto e proprietari di elefanti. Sì — proprio così! — proprietari di elefanti: su questo ci torno tra poco, ma prima ti dico che cosa ho scoperto.

I santuari etici di elefanti non esistono. Punto.

Dicono tutti che salvano gli elefanti, ma alla fine ci sono sempre e solo soldi di mezzo. Sono tutti affari e per nulla etici. Alcuni santuari hanno un marketing migliore di altri ed è per questo che escono in ogni ricerca su Google, ma non per questo sono migliori.

Anzi, migliore è il marketing, più grande è il santuario, peggiori sono le condizioni — non necessariamente per gli elefanti, ma per i mahouts (coloro che si prendono cura degli elefanti) che spesso vengono messi in pericolo, costretti, contro il loro parere di esperti, a mostrare ai visitatori elefanti maschi potenzialmente pericolosi perché in calore — solo perché the show must go on.

Le famiglie dei proprietari di elefanti sono gli unici santuari etici

Ciò che non molti sanno è che in Thailandia ci sono molte famiglie che possiedono elefanti da generazioni.

Gli elefanti in Thailandia hanno da sempre fatto parte della vita familiare come i muli in una fattoria: proprio come un mulo veniva usato per la semina, gli elefanti venivano usati nel settore del legno di teak. Negli anni ‘70, quando il taglio del legno di teak divenne illegale in Thailandia, queste famiglie si ritrovarono con i loro amati elefanti domestici da sfamare: alcuni furono costretti a venderli, altri decisero di riutilizzarli in altri settori, tra cui quello turistico.

Al giorno d’oggi, ci sono ancora molte famiglie nel nord della Thailandia che hanno posseduto elefanti per tante generazioni — non perché li hanno acquistati o “salvati”, ma semplicemente perché questi elefanti hanno sempre fatto parte della loro famiglia.

La famiglia di Seb è una di queste: sono proprietari di elefanti da otto generazioni. Dopo essersi laureato in ingegneria medica, Seb si rese conto di essere più felice con gli elefanti e decise di dedicare la sua vita ai suoi elefanti creando un’attività che gli permettesse di sfamarli, e allo stesso tempo guadagnarsi da vivere, mantenere la sua grande famiglia e mantenere viva la tradizione.

Elephant Carer Home

Non appena entri in Elephant Carer Home senti l’autenticità, l’amore e il rispetto. Questa è la casa di Seb, una casa come un’altra: sua moglie sta cucinando il pranzo, il bebè gattona per raggiungere un giocattolo e la figlia maggiore gioca con un’amica. E i loro elefanti mangiano erba in “giardino”.

Seb non lo definisce un business: ha deciso di aprire la sua casa e accogliere i visitatori perché, “be', siamo onesti, avere elefanti non è economico, mangiano il 10% del loro peso corporeo al giorno e in qualche modo devi trovare i soldi per sfamarli”.

Inoltre, ogni elefante ha il suo mahout, una persona che si prende cura dell’elefante come se fosse di famiglia: i mahout vivono 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno con il loro elefante e non lasciano mai il suo fianco. Anche queste persone hanno bisogno di cibo ed è compito di Seb mantenerli.

Ecco perché Elephant Carer Home non si percepisce come un business: è il modo che Seb ha trovato per non abbandonare la famiglia di elefanti che è cresciuta con la sua famiglia umana per otto generazioni, e allo stesso tempo guadagnarsi da vivere mantenendo viva la tradizione culturale di vivere con gli elefanti, che teme stia scomparendo (suo nonno ha 27 nipoti, ma solo tre hanno deciso di tenere gli elefanti, gli altri li hanno dati ai santuari).

Ci sono quattro elefanti a Elephant Carer Home: due femmine (18 e 19 anni) e due cuccioli (2 e 3 anni): noi abbiamo interagito solo con le due mamme e la “piccola” di due anni, Wally (si pronuncia come il robot), perché il maschio di 3 anni è “birichino” ed è responsabilità di Seb mantenere al sicuro il suo mahout (e i suoi visitatori). C’è anche un maschio grande, ma lo tengono altrove, perché non è responsabile esporlo ai visitatori (“anche se un maschio grande sarebbe un ottimo punto di marketing”).

Gli elefanti non hanno alcuna catena o corda e i mahout non tengono nascosto in mano nessun oggetto appuntito, come spesso devono fare nei santuari “etici”, specialmente quelli più famosi, dove spesso ci sono gruppi di 20 visitatori per 18 elefanti.

Seb capisce l’inglese, ma non lo parla, quindi ha un amico, Kano, che fa da guida: Kano proviene da una famiglia di proprietari di elefanti ed è anche un “dottore di elefanti”, come dice lui. Ma quello che mi è piaciuto di più di Kano è che è molto diretto e onesto quando si tratta di rispondere a domande scomode sul “business” degli elefanti.

Per esempio, è con lui che abbiamo scoperto una verità che ci ha spezzato il cuore: i piccoli di elefanti devono essere legati a un albero e tenuti lontani dalla madre finché non accettano il mahout (di solito una notte). Piangono perché vogliono la loro mamma, ma devono accettare il mahout, perché un elefante non addomesticato è molto pericoloso e non basta nascere tra gli umani per abituarsi a loro. La mamma, cresciuta con gli esseri umani, in natura è possibile che non sopravviva e il piccolo da solo nemmeno, quindi non c'è altra scelta (vorrei sapere se davvero non sopravviverebbero da soli in natura, questa domanda mi ronza in testa). Insomma, per addomesticare un elefante, bisogna “rompere il suo spirito”. Dopo questa terribile pratica, l'elefante e il suo mahout saranno inseparabili.

Un giorno nella vita di un mahout

È difficile esprimere a parole la nostra giornata a Elephant Carer Home. È uno di quei ricordi che mi fanno venire la pelle d’oca e lacrime di gioia al solo pensarci. È stato un privilegio immenso poter trascorrere una giornata con la famiglia e gli elefanti di Seb.

Il modo in cui posso descriverla al meglio è dicendo che abbiamo trascorso una giornata nella vita di un mahout.

Appena arrivati, abbiamo incontrato gli elefanti in modo che potessero sentire il nostro odore e conoscerci. Gli elefanti sono esattamente come le persone, ma senza filtri: o gli piaci o non gli piaci. Fortunatamente, ci hanno accettati e abbiamo potuto fare una prima foto con loro.

Ci siamo poi cambiati negli abiti tradizionali dei mahout: gli elefanti hanno maggiore probabilità di fidarsi dei visitatori che indossano questo vestito blu, perché è lo stesso che portano i loro mahout.

Abbiamo dato agli elefanti una quantità enorme di banane, (pazzesco quanto mangiano!) e poi li abbiamo seguiti con i mahout fino al fiume, dove gli elefanti sono entrati in acqua e… si sono immersi. I documentari sono una cosa, ma vedere questi enormi corpi inginocchiarsi, mettersi su un lato e scomparire sott’acqua lasciando fuori solo la punta della proboscide… beh, è ​​tutt’altra cosa.

Dopo pranzo (un delizioso pasto che la famiglia di Seb ha cucinato apposta per noi) ci siamo uniti agli elefanti e ai mahout nella loro passeggiata quotidiana, dove gli elefanti hanno deciso di entrare nel fango e poi di nuovo nel fiume: ci siamo seduti su un tronco e li abbiamo osservati. Li abbiamo poi anche osservati quando hanno deciso di fare una scorpacciata di un enorme albero di bambù.

Già solo osservare questi gentili giganti da vicino ci ha fatto sentire fortunati e privilegiati… io avrei potuto stare seduta lì a osservarli per giorni.

Ma presto siamo passati all’azione: quando siamo arrivati in un’altra parte del fiume, più bassa, i mahout ci hanno detto che potevamo toglierci i vestiti e unirci agli elefanti nell’acqua, se volevamo… in men che non si dica eravamo tutti nel fiume con questi animali giganti (Oliver si è fatto coraggio, ed Emily è rimasta in braccio a me), lavandoli, schizzandoli e cercando di evitare la loro cacca galleggiante.

Detto così potrebbe non sembrare magico, ma lo è stato! A un certo punto ho dovuto fermarmi, fare un respiro profondo e guardarmi intorno a 360° per fotografare tutto con la memoria e con il cuore.

La nostra giornata — a passo lentissimo, ma che ci è sembrata volare — era quasi finita. Siamo tornati indietro con gli elefanti, abbiamo aspettato che mangiassero dei fichi che erano caduti dall’albero sulla strada verso casa (sul serio, l’unico momento in cui non li abbiamo visti mangiare è stato in acqua), li abbiamo salutati dando loro uno spuntino a base di zucca e riso che avevamo preparato prima, abbiamo ringraziato la famiglia di Seb e siamo tornati a Chiang Mai.

Che esperienza! Rimarrà tatuata per sempre nelle nostre menti.

Sito web

Facebook

Visiting elephant program

Se vuoi fare una donazione a Elephant Carer Home, puoi farlo qui

PS. Una curiosità sul cavalcare gli elefanti

Cavalcare gli elefanti sul collo, senza sella, non è sbagliato, anzi, è del tutto normale: Mahouts e proprietari di elefanti hanno sempre cavalcato gli elefanti in questo modo, per generazioni. È un po’ come quando noi cavalchiamo i cavalli nelle culture occidentali — e cavalcare senza il morso è meglio per il cavallo. Noi non l’abbiamo fatto, ma è stato interessante imparare qualcosa di nuovo.

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