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O è Natale tutti i giorni o non è Natale mai

Carlotta Cerri
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Lo so, ho trascurato il mio sito per qualche giorno, ma la vita a volte è talmente monotona e monotóna che lo sarebbe ancora di più leggerla su un blog. Altre volte è talmente frenetica che non lascia tempo di essere scritta. O, se vogliamo dirla tutta, a volte l'essere umano è talmente pigro che preferisce spendere meno energie e quindi pensa, ma non scrive. E con “essere umano”, intendo me stessa.

Ma oggi mi sono svegliata e ho letto il messaggio che Francesca, una meravigliosa donzella di Alba che vedo poco ma che ricordo sempre sorridente e solare, ha scritto su Facebook: “O è Natale tutti i giorni, o non è Natale mai”.

E come sempre quando una frase mi colpisce, la faccio mia e inizio a pensare. Fino a quando i miei pensieri sono così forti e rumorosi che tendo a parlare da sola o a scrivere. Oggi ho optato per scrivere.

Che cos'è il Natale per me?

Ultimamente mi sono chiesta spesso cosa sia il Natale per me.

Quando ero piccina adoravo il Natale, stravedevo per l’albero con tutte le palline colorate e i pacchettini regalo fatti con le scatolette delle medicine. Scalpitavo fin da ottobre per fare il presepe – un presepe enorme, con almeno 100 statuette, la ghiaia a segnare il percorso verso la capanna di Gesù bambino e perfino le montagne in cartapesta dove mettevo sempre qualche capretta e l’ubriacone rinnegato dalla società per il suo stupido vizio. Forse le statuette — a dirla tutta — erano Natale. 

Quando finalmente ottenevo il permesso di fare il presepe, la mia mamma nascondeva sempre Gesù bambino dove io non potessi trovarlo, ma la mattina di Natale mi svegliavo e lui era lì, piccolo e infreddolito nella sua culla. Era nato.

I regali erano l’altra parte irrinunciabile dei miei Natali. Mi annotavo su un’agenda i nomi di amici e familiari con affianco i vari possibili regali con tanto di prezzi e posti dove trovarli. Dal 20 al 23 aveva luogo la corsa sfrenata al consumismo, da sola, con amiche, sotto la piaggia o la neve. Niente poteva fermarmi.

Ho smesso di fare regali a Natale da quando ho iniziato a preferire i regali spontanei a quelli forzati e programmati — che spesso non arrivano spontaneamente il 25 dicembre.

Oggi non ci sono più alberi di Natale nei miei Natali, né presepi, né ghirlande o pupazzi di neve appesi alle porte di casa. Non c’è più la vigilia, né la mattina di Natale. Raramente ci sono regali perché raramente ci sono soldi. Non c’è più Natale.

E ovviamente non è questione di fede – che si può avere o non avere – perché il Natale di molti e sicuramente il mio, non riguarda la fede. Si può credere che un dio esista e pregarlo, ma ormai a Natale il primo pensiero non è “È nato il Salvatore”, bensì “Cosa faccio a Capodanno?”.

Non è nemmeno più famiglia, perché i divorzi ammazzano anche quella. Quando già non c’erano più alberi né presepi, c’era almeno una giornata in famiglia. Da due anni, invece, siamo metà, un terzo, tre quarti, ma mai tutti insieme.

Quindi mi chiedo ancora “Che cos’è per me il Natale?”. Ma non ho una risposta.

Quest’anno il mio Natale è stato la mia laurea. Tutti insieme, come una volta, intorno a quel tavolo a casa della nonna dove ci ritroveremo, dimezzati, anche questo 25 dicembre. Che sarà, però, solo un giorno come un altro.

Perché “O è Natale tutti i giorni – come le statuette del presepe – o non è Natale mai”. E tra un sorriso e una stretta di spalle un po’ malinconica, so che noi non siamo statuette.

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