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Episodio 12 ·

I nostri dietro le quinte del COVID in Nuova Zelanda e… dove andiamo da qui?

Lo ammetto. Ho registrato questo episodio più per me che per voi.

Perché avevo bisogno di dire alcune cose a voce alta. In questo episodio ti racconto le nostre prime esperienze con il COVID in Asia a gennaio 2020, come abbiamo vissuto in stato di incertezza da allora, come e perché abbiamo scelto la Nuova Zelanda per fermarci "un paio di mesi aspettando che passi il COVID", quanto ci sentiamo privilegiati e allo stesso bloccati e che cosa vogliamo/possiamo/dobbiamo fare dopo. Spoiler: siamo davvero combattuti tra cuore e mente, se vuoi offrirci i tuoi pensieri scrivici a carlotta@latela.com.      

Nel prossimo episodio, a grande richiesta, parliamo di come gestire il dolore dei nostri figli e di come affrontare il tema della morte con i bambini piccoli.

Mi trovate anche su Facebook e Instagram come @lateladicarlottablog

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  • Educare a lungo termine: un corso online su come educare i nostri figli (e prima noi stessi) in maniera più consapevole. Tanti genitori mi dicono che gli ha cambiato la vita.
  • Co-schooling – educare a casa: un corso online su come affiancare il percorso scolastico per dare l’opportunità ai bambini di non perdere il loro naturale amore per il sapere.

Ciao! Ce l’ho fatta, sto registrando!

Avrete forse notato che venerdì non è uscito un nuovo episodio, perché dovete sapere che ho lavorato talmente tanto per finire di lanciare il mio corso nuovo che non ho avuto tempo di registrare nulla in anticipo per il podcast e quindi è praticamente successo quello che non volevo succedesse, quello che avevo giurato e spergiurato a me stessa che non sarebbe successo ovvero… sono arrivata al fatidico venerdì senza un episodio pronto. tu-du-du

Perché non so se lo sapete ma di solito quando si ha un podcast si hanno vari episodi registrati in anticipo per varie settimane, per farvi un esempio le volte che mi hanno intervistata per altri podcast, l’episodio che avevamo registrato usciva poi un mese dopo la registrazione!

Ecco, quella è gente in gamba, che sa cosa fa… quello è il modo professionale di avere un podcast, ed è anche il modo che funziona meglio, perché non c’è lo stress ogni settimana di trovare qualcosa di interessante di cui parlare… ecco, ci sono queste persone preparate e poi ci sono io con il mio modo tutto unico di avere un podcast che è più … non so come definirlo, spontaneo forse, ecco, diciamo spontaneo per rimanere sul positivo.

Certo, ho una scaletta di argomenti che voglio trattare, ma io funziono molto di pancia, non ce la faccio a decidere di parlare di una cosa che non mi ispira quando mi siedo davanti al microfono. E quindi anche ora vado di pancia e ho deciso di raccontarvi alcuni pensieri e piccole preoccupazioni che abitano la mia mente da qualche mese e che, anche se forse non si apprezza attraverso Instagram e Facebook, ci hanno fatto vivere grandissima incertezza nonostante siamo in un paese, la Nuova Zelanda, in cui il covid non esiste più ed è per quello che ci vedete tutti mascherina nelle storie (quindi a tutti voi che mi avete scritto, ma lì non c’è l’obbligo della mascherina, no non c’è l’obbligo, perché non c’è il covid. E quindi ho deciso di raccontarvi un po’ come siamo finiti qui in Nuova Zelanda e perché, perché effettivamente abbiamo un po’ vinto alla lotteria con la decisine di venire qui in questo momento storico, ma non potremo stare qui ancora molto a lungo per questione di visti e altri motivi che ora vi racconto e bo’, se mi state ascoltando, magari avete qualche suggerimento e qualche consiglio su tutta questa situazione assurda. 

Dunque, da dove inizio? Inizio dall’inizio.per darvi un breve quadro generale. Se avete seguito un po’ la nostra storia saprete che nel giugno 2019 siamo partiti per un viaggio intorno al mondo di due anni. Dopo circa un anno e mezzo, a metà gennaio abbiamo lasciato il Vietnam e il giorno stesso che noi eravamo in aeroporto diretti in Malesia, c’è stato il primo caso di covid in Vietnam e proprio all’aeroporto, era il 16 gennaio. Ed è allora che per noi è iniziato questo momento storico del covid, un po’ prima dell’Europa perché in Asia l’ondata è arrivata prima. Il mese che abbiamo vissuto a Penang, in Malesia, è stato un po’ surreale, immaginatevi che eravamo in una città la cui popolazione è metà cinese, e nel mezzo del capodanno cinese, in cui c’è un vero e proprio esodo del popolo cinese che ritorna a casa per le feste, ma non solo, nello stesso periodo c’è anche il thaipusam che è un festival hindu, quindi veramente tantissimi assembramenti. E ricordo che da un giorno all’altro tutti, ma proprio tutti, hanno iniziato a mettersi la mascherina: cioè il giorno prima nessuno ce l’aveva, il girono dopo era raro vedere una persona senza. E nessuna farmacia in città aveva il gel per disinfettare le mani. Ecco, quindi abbiamo ovviamente drizzato le antenne, abbiamo immediatamente riniziato a mettere le nostre mascherine e dico riniziato perché noi le mettevamo già da novembre perché a novembre eravamo a Bangkok in Tailandia e a dicembre ad Hanoi in Vietnam ed entrambe queste città hanno livelli di inquinamento altissimi e quindi ci eravamo già abituati a mettere le mascherine… ora, se vi state chiedendo come sappiamo i livelli di inquinamento, c’è un app che si chiama Visual e tra l’altro, è buffo ma ricordo che un giorno avevo guardato i livelli di inquinamento di Milano e non erano poi così diversi da quelli di Bangkok… cosa che a me sorprese moltissimo e mi fece davvero riflettere sul perché nessuno mettesse la mascherina nelle grandi città italiane, ma va be’, quello è un altro discorso.

Quindi, siamo a Penang, finisce il nostro mese in Malesia, e andiamo a Bali che in confronto alla Malesia è un paradiso mascherato, nessuno era preoccupato, nessuno faceva attenzione, nessuno sembrava nemmeno sapere dell’esistenza del virus, nessuno tranne il governo perché poco dopo il nostro arrivo siamo venuti a sapere che nascondeva i casi per non affossare l’economia… e quando lo abbiamo scoperto, alex si è messo a fare molta ricerca per capire se ci fosse un posto in Asia dove potessimo andare e che ci avrebbe dato un senso di sicurezza… avevamo già parecchi mesi programmati, fino a novembre del 2020 ah, ecco fino ad ora praticamente) e quindi abbiamo dovuto prendere una decisione abbastanza velocemente. Abbiamo deciso di cancellare il Taiwan, il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia per cui appunto avevamo già tutti i voli e gli alloggi prenotati (per fortuna era presto quindi ci hanno rimborsato tutto) e inizialmente abbiamo pensato di tornare in Europa, ovvero di tornare a casa, ma pochi giorni dopo sono arrivate notizie dei primi casi anche in italia e a inizio marzo era chiaro che la situazione in Europa non era migliore dei paesi asiatici che avevamo scartato. Ci siamo allora chiesti, qual è un paese in questa parte di mondo che gestirà bene la situazione? Qual è un paese che ci permetterà di stare fermi e tranquilli per un paio di mesi e poi iniziare a viaggiare? La risposta, dopo mille ricerche, è stata la Nuova Zelanda. Ed era destino, la vita ci doveva davvero portare qui, perché sono successe una serie di cose che si incastravano tutte come i pezzi di un puzzle… prima di tutto, l’airbnb che alex aveva già trovato e che avremmo prenotato per questo dicembre (perché saremmo comunque andati in Nuova Zelanda dopo l’australia) era ancora disponibile, cosa che di solito è rara all’ultimo minuto. Quindi quella è stata la prima fortuna, poi proprio perché a bali l’ignoranza generale non ci faceva sentire sicuri, abbiamo deciso di lasciare Bali un po’ prima anche se significava perdere una settimana circa di airbnb (e quindi anche i soldi, ovviamente), e siamo arrivati in Nuova Zelanda 5 giorni prima del lockdown, cioè 5 giorni dopo la Nuova Zelanda non sarebbe più stata un’opzione perché ancora oggi il paese è chiuso, nessuno che non sia kiwi può entrare. E come se non bastasse ci hanno allungato il visto automaticamente, a noi e a tutti i visitatori, da 3 mesi a sei mesi e poi da settembre ce lo hanno allungato di altri 5 mesi, quindi teoricamente potremmo restare qui fino a fine febbraio 2021.

E niente, siamo stati davvero fortunati perché qui si fa vita normale e anzi è incredibile quanto la gente non sappia davvero davvero quanto sia dura la situazione in Europa… la Nuova Zelanda al momento è una piccola bolla di normalità e non c’è giorno che non ci sentiamo privilegiati di essere qui. 

Ma se da un lato avevamo ragione, ovvero la Nuova Zelanda con la sua meravigliosa Jacinda hanno gestito la situazione davvero bene, è un paese piccolo, poca densità ecc ecc e quindi con un lockdown di un mese e mezzo hanno debellato il virus completamente, dall’altro lato siamo stati troppo ottimisti perché avevamo sperato di restare un paio di mesi e poi continuare a viaggiare e invece siamo qui da oltre 8 mesi ed è chiaro non solo che non potremo continuare a viaggiare, ma anche che questa situazione mondiale è ben più grave di quanto chiunque avesse potuto anticipare. 

E la verità, la vera verità, è che ci sentiamo bloccati. Nonostante la libertà, nonostante la normalità, ci sentiamo bloccati. Come se la vita vera fosse in pausa. Non so spiegarlo, è una sensazione, avete mai una sensazione di stasi, di quando sembra di essere in un limbo, ecco (magari sì, magari lo state vivendo anche voi proprio adesso per motivi diversi), ma ci sentiamo proprio come se non stessimo vivendo davvero, ma come se stessimo solo aspettando che inizi il prossimo capitolo, ma questo capitolo non inizia mai, perché la verità è che qui in Nuova Zelanda per noi questo capitolo non può iniziare, la Nuova Zelanda non è casa nostra, non è il nostro paese, il visto non è così facile da allungare a meno che non lo allunghi il governo e molto probabilmente non lo allungheranno oltre febbraio. E certo, è un paese che sceglieremmo in un batter d’occhio, perché la qualità della vita è davvero ottima, ma non senza la nostra famiglia, non così, con i bimbi che crescono lontani dalla famiglia, che anche volendo qui non può raggiungerci, perché il paese è chiuso e rimarrà chiuso ancora a lungo. 

E quindi la verità è che anche se questo paese è meraviglioso e qui si respira il lusso della normalità, noi abbiamo voglia di tornare. Abbiamo voglia di vedere i nonni, abbiamo voglia di vedere mia sorella. Abbiamo voglia di essere vicini se ci fosse qualche problema. Abbiamo voglia di iniziare a capire qual è il prossimo capitolo della nostra vita. E per quanto qui sia bello, l’incertezza che abbiamo vissuto negli ultimi 10 mesi è stata davvero grande e stressante. Per esempio, fino al giorno stesso in cui hanno allungato il visto a tutti i visitatori, non sapevamo se ci avrebbero permesso di restare, non potevamo nemmeno comunicare con l’ufficio immigrazioni perché avevano tolto le telefonate, e niente, eravamo tagliati fuori, addirittura per un giorno a settembre proprio per un ritardo degli uffici che sono oberati siamo rimasti senza un visto, che è comunque una preoccupazione perché rimanere illegalmente in un paese può 1. far sì che ci neghino accesso ad altri Paesi in futuro e 2. Significa anche che possono arrivare domani e dirci “tra x giorni dovete tornarvene nel vostro paese”.

Insomma, a fine settembre, abbiamo deciso che eravamo stufi di questa incertezza e di non avere la decisione del nostro futuro anche immediato nelle nostre mani e abbiamo deciso di tornare in Europa a dicembre. E potrà sembrare buffo, ma proprio nei giorni in cui abbiamo preso questa decisione, Alex ha letto una frase di Tim ferissi che dice: la maggior parte delle persone preferisce l’infelicità all’incertezza”. Che cosa significa? Significa che la maggior parte delle persone sceglie una soluzione che li rende potenzialmente meno felici a patto di non vivere nell’incertezza. E questo mi ha fatto sorridere perché in un certo senso è proprio quello che abbiamo fatto noi con la decisione di tornare. Abbiamo scelto di abbandonare questo paradiso, questa rarissima bolla di normalità nel mondo per cosa, proprio per un filo di certezza, la certezza di avere un programma, la certezza di tornare in un continente che sappiamo che non ci sbatterà fuori domani, la certezza di iniziare a scrivere il capitolo successivo e poi ovviamente la certezza di abbracciare i nostri cari. 

E ora cos’è successo? è successo che già solo a distanza di un mese dalla decisione di tornare, quella certezza è svanita di nuovo. La situazione è peggiorata (com’era prevedibile, ma uno ci spera sempre che non sia cosa), continuano ad aumentano le restrizioni, ora l’Italia parla di un altro lockdown a Natale, la Spagna è in piena crisi, si parla addirittura di fine della democrazia, cioè siamo ad altri livelli… poi stanno cancellando voli e tragitti a destra e a manca e poi c’è anche il fattore che anche se arrivassimo per poter fare Natale dopo due settimane di quarantena è possibile che non potremmo nemmeno abbracciare la nostra famiglia a Natale. E saremmo vicinissimi, ma comunque lontanissimi e poi c’è anche da dire che tutta la nostra famiglia vive sparsa tra italia, Spagna, Belgio e Finlandia, e ho tantissime amiche non spagnole a Marbella che ora non possono raggiungere la loro famiglia nei loro paesi e in più ammetto che mi scrivete almeno in 3-4 al giorno dicendomi di stare qui in nuova Zelanda il più a lungo possibile perché la situazione lì è davvero dura, soprattutto per famiglie con bambini. anche perché una volta che usciamo dalla bolla, non possiamo più rientrarci. 

E quindi niente, ci ritroviamo a dovere riconsiderare tutto, anche se non vogliamo.

E so che chiunque in Italia e in Europa pagherebbe per essere qui in Nuova Zelanda in questo momento, ma anche se l’erba del vicino sembra sempre più verde, anche l’altro lato della medaglia è faticoso, è faticoso leggere ancora 25 settembre sul nostro visto ufficiale (perché ci è arrivato solo un rinnovo temporale e non sappiamo se domani ci arriverà una mail che ci dice che dobbiamo tornare a casa; è faticoso vivere questa finta normalità di scuola e lavoro come se fosse vita normale, circondati da persone che vivono la loro vita normale, e invece noi siamo qui senza amici e senza famiglia e sta diventando faticoso gestire le emozioni; e poi ovviamente è difficile accettare il pensiero che non possiamo vedere la nostra famiglia senza perdere questo privilegio di normalità e sicurezza (e ora i mesi cominciano a farsi sentire, abbiamo visto mia madre a febbraio, ma non vediamo mio padre e mia sorella da oltre un anno e cominciamo tutti a patirlo).

Poi va be’, certo, riconoscono che tutti questi sono problemi del primo mondo, come li chiamo io. Nel senso che non sono problemi, soprattutto considerato quello che state vivendo in Europa, l’incertezza mista anche alla preoccupazione di una minaccia invisibile. Ma personalmente nella mia vita ho deciso di accettare che c’è sempre qualcuno che soffre più di me e io personalmente non lo dimentico mai, ma ho capito che dare valore a quelle che sono le mie difficoltà, per quanto piccole, per quanto passeggere, senza sentirmi in colpa, non sia un’offesa a chi soffre di più, bensì sia un modo sano di prendere coscienza delle mie emozioni e di affrontarle con accoglienza. Credo che sia sano dare valore alle proprie difficoltà senza paragonarsi agli altri o sentirsi in torto o in colpa e penso che faccia parte dello sviluppare una relazione sana con noi stessi. Quindi non mi vergogno a dire che, nonostante io sappia che siamo in una situazione estremamente privilegiata nel mondo, non riesco più ad apprezzarlo così come dovrei e prendere questa decisione di quando tornare si sta rivelando faticoso.

Il mio cuore mi dice di tornare, nonostante tutto, mi dice di non cambiare il volo e tornare a casa.

La mia mente, però, mi dice di restare il più a lungo possibile. Mi dice di continuare a regalare ai bambini questa normalità finché ci è permesso, perché il mondo fuori di qui ormai tanto normale non è.

E quindi chi si ascolta? Il cuore o la mente? Bo. Voi se foste nella mia situazione chi ascoltereste?

E niente, mi sono seduta davanti al microfono con questa necessità di raccontarvi la mia verità perché non sono una persona che ama fingere o nascondere le emozioni, ma ultimamente non ero ancora riuscita a documentare tutte le emozioni degli ultimi mesi, e magari avevo proprio solo bisogno di dire tutto questo ad alta voce. E se avete voglia di raccontarmi che cosa fareste nella nostra situazione o anche solo di raccontarmi la vostra esperienza, mi piacerebbe molto che mi scriveste a carlotta@latela.com oppure mi trovate come sempre su Instagram e Facebook come @lateladicarlottablog. E … niente, vi ringrazio per la vostra pazienza, per avermi ascoltata e per avermi accolta. Buona serata, buona giornata o buona notte a seconda di dove siete nel mondo. Ci vediamo venerdì. Ciao!

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.