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Episodio 14 ·

La rabbia, le urla dei genitori e una storia tibetana

In questo episodio sono stata ispirata da una storia tibetana a parlare di rabbia e del perché urliamo quando siamo arrabbiati. Riconoscere i perché e analizzare le mie reazioni quando urlo è stato per me il primo passo per imparare a gestire la rabbia.

Nell'episodio menziono questo articolo: Spiegare come funziona il cervello aiuta i bambini a controllare le loro emozioni.

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Ciao ed eccoci a un altro episodio di Eduxare con calma, e oggi parliamo proprio di calma o meglio, di quello che per me è stato per molto tempo il suo opposto: la rabbia.

Questo episodio lo sto registrando in maniera molto spontanea perché facendo pulizia tra le mie note e i miei scritti ho ritrovato una storia e ve la leggo.

Una storia tibetana racconta che un giorno un vecchio saggio chiese ai suoi seguaci: - Perché le persone si urlano contro quando sono arrabbiate? ⁣

Tutti pensarono per qualche istante: ⁣

-Perché perdiamo la calma - disse uno - è per questo che gridiamo.

-Ma perché urlare quando l'altra persona è accanto a te? - chiese il saggio - Non è possibile parlargli a voce bassa? Perché urli contro una persona quando sei arrabbiato? ⁣

I seguaci diedero altre risposte ma nessuna soddisfaceva il saggio.

Alla fine il saggio disse: ⁣

-Quando due persone sono arrabbiate, i loro cuori si allontanano molto. Per coprire quella distanza devono gridare, per potersi ascoltare. Più sono arrabbiati, più forte dovranno gridare per sentire le parole dell’altro a quella distanza.

E poi continuò: ⁣

- Cosa succede quando due persone si innamorano? Non si gridano addosso ma si parlano a bassa voce, bisbigliano, perché? I loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è molto cortaq.

Il saggio sorrise e disse:

- E quando si innamorano ancora di più, cosa succede? Non parlano, si limitano a sussurrare e si avvicinano ancora di più nel loro amore. Alla fine non hanno nemmeno bisogno di sussurrare, si guardano e basta. ⁣

Questo è quanto sono vicine due persone quando si amano ... ⁣

Poi concluse: ⁣

-Quando discuti, non lasciare che i tuoi cuori si allontanino, non dire parole che ti allontanano ancora di più, potrebbe arrivare un giorno in cui la distanza sarà così grande che non troverai la via del ritorno... ⁣

L’autore è sconosciuto, ma questa storia me l’ero salvata anni fa quando la trovai  perché mi era piaciuta questa idea di gridare perché i cuori sono lontani. Di gridare per riuscire a far sì che la voce arrivi al cuore e riavvicini i cuori. 

Non so perché mi sia piaciuta, in fondo non ci credo davvero, nel gridare per riavvicinare i cuori. Anzi, in realtà credo tutt’altro. Credo che un grido esprima un disagio celato, credo che manifesti una frustrazione che ho ingoiato per troppo tempo o un dolore con il quale non ho ancora fatto i conti. So che quando grido ai miei figli o a mio marito, li allontano ancora di più o faccio sì che urlino anche loro e quindi le distanze continuano a ingrandirsi.

Ma in un certo senso quella storia mi ha regalato una visualizzazione: grazie a quella storia quando grido visualizzo nella mia mente il mio cuore che si allontana da quello della persona a cui sto gridando e visualizzo che più grido più si allontana, mentre più ritrovo la calma più si avvicina. E questo a volte mi aiuta, le visualizzazioni mi aiutano sempre molto, se hai fatto il mio corso saprai che una delle più grandi visualizzazioni contro la rabbia per me è il coccodrillo, visualizzare la rabbia come un coccodrillo nel mio cervello che devo domare. E lo stesso insegno ai miei figli, ovvero a visualizzare la rabbia come un coccodrillo nel loro cervello che devono domare. E addirittura spesso in un momento di tensione o di rabbia tengo la mia mano a mo ’ di cresta di coccodrillo con le dita alzate e poi respirando la chiudo lentamente a pugno come se il coccodrillo stesse abbassando la cresta, come se io lo stessi domando, come se così facendo stessi accettando, prendendo coscienza e accogliendo l’emozione. E questo per me ha anche un doppio valore perché va a braccetto con la teoria di Daniel Siegel il cervello nel palmo della mano, di cui parlo nel corso e ho scritto brevemente sul blog. Vi lascio il link nelle note dell’episodio.  

E queste visualizzazioni a me aiutano, perché la rabbia è sempre stato il mio tallone d’Achille. Continua ad essere il mio tallone d’achille, perché anche se oggi grido molto meno, a volte mi scappa. E succede soprattutto in due situazioni:

  1. una quando mi arrabbio ma di quella rabbia frustrata, di quando non dico nulla per molto tempo e poi esplodo. Quella rabbia Di quando ingoio un comportamento che non mi piace, invece di esprimere le mie emozioni. Quella rabbia di quando i bimbi stanno facendo qualcosa che non mi piace, glielo dico, mi ignorano, e io sopporto perché magari sto facendo qualcos’altro, e quindi non mi prendo subito il tempo di alzarmi, di mettermi in ginocchio al loro livello e parlare con loro per accogliere e risolvere quell’emozione, come invece dovrei fare. 
  2. E poi grido quando mi spavento, per esempio Oliver o Emily si fanno male o fanno male l’uno all’altra o si stanno per fare male in maniera per me prevedibile e la mia prima reazione è quella di gridare, è proprio lo spavento che mi fa suscitare l’urlo, perché in quel momento la paura che si siano fatti male o si facciano male prende il sopravvento sulla mia mente razionale. Per esempio se vedo che Oliver sta giocando in maniera pericolosa con Emily e gliel’ho già fatto notare, ma non ha smesso, poi magari succede un incidente in cui Emily si fa male ma alla fine non è neanche colpa di Oliver ma io urlo lo stesso “Oliver” proprio per quella paura che si è costruita dentro di me. E ovviamente l’urlo, che da noi non capita così spesso, ferisce i sentimenti di Oliver (l’urlo ferisce i sentimenti di chiunque, a chi piace sentirsi urlare contro? a me no certamente) e allora diventa molto più difficile risolvere una situazione che in realtà sarebbe stata semplice da risolvere, rimanendo più calmi, evitando l’urlo, facendo un respiro e parlando con tranquillità.

E penso spesso al perché. Perché grido? E parlo sia del grido di frustrazione sia del grido di paura. Più ci penso, più credo che sia un’eredità che mi ha lasciato mia madre. Mami, se mi ascolti, non volermene, purtroppo non mi hai lasciato solo cose belle, non credo sia una novità. E lo dico perché la mia tendenza a urlare mi arriva dal modo in cui ho imparato a litigare con mia madre. Noi abbiamo sempre avuto un bel rapporto, è vero, ma è sempre stato anche un rapporto abbastanza conflittuale, ricordo già episodi quando io avevo 6-7 anni, ma poi soprattutto da adolescente il nostro rapporto è stato un po’ aggressivo verbalmente parlando (quando ci arrabbiavamo partivano grida, si sbattevano porte, una volta ricordo addirittura vestiti che sono volati giù dalla finestra della mia stanza ... ok questo è successo solo una volta, ma è successo.. perché mia madre per punirmi che non riordinavo la mia camera ha buttato tutti i miei vestiti giù dal quarto piano. E no, questo non mi ha resa più ordinata, tra l’altro… comunque magari sarebbe interessante farci un episodio con lei su questo nostro rapporto conflittuale. 

Ma quello che voglio dire è: siamo un prodotto della nostra educazione. Tendiamo ad educare come siamo stati educati, non possiamo girarci intorno, E la verità è che I bambini non imparano da quello che diciamo, imparano da quello che facciamo, dai toni che usiamo: per esempio, facciamo più un esempio relazionato ai bambini piccoli, immagina che tuo figlio si faccia male e tu entri in panico, corri verso di lui e lo prendi in braccio , lo tocchi ovunque per assicurarti chiedendo “cos’è successo? Cos’è successo?” E poi inizi la ramanzina  “ecco, te lo avevo detto, dove ti sei fatto male, come ti sei fatto male, fammi vedere, ti avevo detto di non correre” e poi magari nel frattempo stai sgridando tuo figlio più grande perché lo ha fatto cadere ecc ... ecco da questo i tuoi figli imparano che quella è la reazione corretta fai fronte a un errore, in questo caso una caduta. E come pensi che reagiranno di fronte a un errore in futuro o di fronte a un fallimento o di fronte a un dolore (sia da individui che un giorno da genitori)? Reagiranno in modo simile, con panico, senza calma. Se invece cadono, li guardiamo, rimaniamo calmi, facciamo un respiro, magari stringiamo il pugno della mano con forza e canalizziamo l’energia lì e camminiamo (o corriamo, certo, se siamo lontani e vogliamo arrivare più in fretta perché siamo preoccupati), ma poi una volta vicini a loro ci abbassiamo al loro livello, con calma, con movimenti lenti, li prendiamo in braccio, li stringiamo forte forte senza dire una parola, facciamo respiri profondi noi stessi (vi assicuro che i respiri profondi sono contagiosi) e poi quando si calmano, chiediamo di farci vedere dove si sono fatti male o chiediamo che cos’è successo. Ecco. quella è la reazione che stiamo insegnando ai nostri figli di fronte a un errore ed è la reazione che probabilmente faranno loro. 

Ora, io so che tra il dire e il fare c’è di mezzo un oceano: Io per esempio, quando cadono, se ho visto la caduta è molto probabile che riesca a mantenere la calma, a camminare verso di loro e prenderli in braccio o rialzarli con movimenti lenti. Se invece non ho visto la caduta e sento solo il pianto, che diciamoci la verità, suona sempre come se li stessero torturando, di solito corro, magari mi scappa l’urlo e la ramanzina da panico, ma poi se mi accorgo di questo mio comportamento cerco di fare un respiro, mi scuso, dico ai miei figli che ho avuto una reazione spropositata perché mi sono spaventata e ricomincio da capo. Ma questo l’ho imparato in anni e anni e anni e lo so imparando ancora oggi, ogni giorno: non sempre ci riesco, ma ci provo sempre e ogni volta che fallisco mi faccio una nota mentale per fare meglio la prossima volta. Ma appunto non è sempre stato così.

Sfortunatamente mi rendo conto che negli anni passati, specialmente negli anni della privazione del sonno, purtroppo, ho già lasciato il mio retaggio ai miei figli, specialmente Oliver, che è più propenso al grido ed è anche più sensibile al grido. 

Perché alla fine possiamo essere genitori consapevoli il 90% delle volte ed evolvere all’infinito, ma i nostri figli vivranno sempre le conseguenze delle nostre debolezze, su questo non ci piove. E lo dico con molta tranquillità, con molta serenità, perché credo che dobbiamo farci la pace con questa verità: in un modo o nell’altro anche io, con tutta la fatica che faccio per educare con calma e nel rispetto, lascerò ai miei figli la mia buona dose di reazioni negative con le quali dovranno fare i conti quando saranno adulti. Spero di lascive loro anche gli strumenti per fare i conti con queste reazioni, ma ve lo saprò dire solo tra 20-30 anni…

E so anche che questa non è una scusa per non migliorare, della serie “tanto il retaggio negativo glielo lasciamo lo stesso”: no, questa non è la mentalità giusta, perché nel momento in cui io vedo dei comportamenti negativi dei miei figli e so che arrivano da me, io posso aggiustare il tiro, posso parlare con loro, posso ammettere che quello è un atteggiamento di me che non mi piace e che io stessa sto cercando di cambiare, posso chiedere loro di aiutarmi a cambiarlo tipo i miei figli mi fanno notare quando grido e io in quel momento cerco di lasciare da parte l’ego e dico loro: “avete ragione, mi calmo e poi ne parliamo”. E la verità è che noto già che loro fanno lo stesso tra di loro, copiano queste frasi che io dico e spesso risolvono i loro conflitti da soli, perché i bambini magari non ci ascoltano, ma vi assicuro che ci osservano e ci copiano in ogni istante.

E certo, questo ovviamente è positivo e negativo, perché come diceva Maria Montessori i bambini sono delle spugne ma le spugne assorbono sia acqua pulita che acqua sporca: ma proprio per questo il modo in cui reagiamo e ci comportiamo noi genitori è così importante. Perché davvero possiamo fare una grandissima differenza nelle persone che saranno i nostri figli, nelle loro reazioni, nei loro comportamenti, nella loro capacità di gestire le emozioni… semplicemente cambiando piccole parti e piccoli comportamenti di noi stessi, che poi sono sicura siano anche quelle parti e quei comportamenti che vorremo cambiare comunque, perché molto probabilmente non ci fanno stare bene, non ci fanno vivere in armonio con noi stessi. 

Mi viene in mente una frase che ho già detto, ma che non smetterò mai di ripetere: il nostro scopo di individui è evolvere e il mio augurio a chiunque è di evolvere così tanto che la gente dovrà tornare a conoscervi da zero. 

E onestamente ho altre cose qui sulla scaletta davanti a me, ma le terrò per un altro episodio perché ogni volta che dico questa frase mi entra talmente dentro e la sento talmente forte che mi sembra che tutto il resto perda valore a confronto.

E quindi chiudo con i pensieri che frase mi suscita sempre, sempre, sempre, sempre che ormai per me sono diventati come un mantra: non temere il cambiamento, esci dalla tua zona di comfort più spesso, entra nelle tue caverne oscure, scegli ogni giorno di evolvere ed evolvi così tanto che gli altri dovranno tornare a conoscerti da zero.      

E con questo ti do appuntamento a venerdì prossimo.

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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