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Episodio 3 ·

La scuola uccide la creatività? Omaggio a Sir Ken Robinson

Il 21 agosto è morto Sir Ken Robinson, uno degli educatori che più ha influenzato il mio percorso nell'educazione dei bambini. Questo è il mio piccolo omaggio spontaneo a lui.

Il video di cui parlo qui è questo: Do Schools Kill Creativity? (potete scegliere i sottotitoli italiani)

Potete anche leggere un mio vecchio post sul blog con alcune riflessioni personali: La scuola uccide la creatività? e questo racconto di Helen Buckley che dà un esempio concreto di come effettivamente la scuola uccida la creatività (magari duro, ma per me fu necessario per aprire gli occhi).

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Oggi ho scoperto che il 21 agosto il cancro si è portato via Sir Ken Robinson e ho sentito il bisogno di sedermi davanti al microfono e parlarvi di ciò che questo signore ha significato per me e per milioni di insegnanti ed educatori in tutto il mondo. Perché Ken Robinson arrivò ancora prima di Maria Montessori nella mia mia vita ed entrambi questi educatori hanno significato una svolta nel mio modo di vedere l’educazione.

La prima volta che sentii Ken Robinson fu nel 2007 guardando un suo video del 2006. E quel video lo visto tante volte che lo potrei forse recitare a memoria, perché quello fu per me l’inizio di un cambio radicale di mentalità sulla scuola, un cambio per il quale ero sicuramente pronta perché i semini devono già essere nella testa per poter germogliare.

Il video si intitola Do schools kill creatività? Le scuole uccidono la creatività?

E In quel video parlava dei bambini e della creatività: la sua missione di vita è stata ripensare e migliorare la scuola ed è stato forse il primo a schierarsi per l’importanza delle arti nel curriculum scolastico. Nel video spiegava che in tutto il mondo la gerarchia delle materie è la stessa, con matematica e lingua sempre ai primi posti e le arti all’ultimo, ma lui sosteneva che l’arte fosse importante tanto quanto la letteratura e E si chiedeva perché  la danza per esempio non venisse insegnata ogni giorno ai bambini come la matematica, perché entrambe sono molto importanti per i bambini …  E credo che fu questa la prima cosa che mi affascinò di ciò che diceva perché mi ritrovavo nelle sue parole, per me, per esempio, al liceo classico fare teatro, mettere insieme spettacoli, memorizzare parti, fare ore di prove a settimana e avere l’opportunità di salire ogni anno su un palcoscenico  prestigioso come quello del teatro di alba per un’ora e mezza di spettacolo non solo mi ha insegnato di più sui classici che mettevamo in scena di quando non avessi imparato nei libri, ma è stato più importante e formativo, a livello personale, di qualsiasi lezione di greco e latino e forse anche di letteratura e matematica messe insieme: il teatro cominciò a forgiare dentro di me la sicurezza in me stessa, la mia autostima, perfino la capacità di affrontare le critiche e gestirne l’emozione che ne deriva).  quando Ken Robinson nel suo discorso ha iniziato a parlare dell’importanza delle arti a scuola con me sfondava una porta aperta., ero pronta mentalmente ad accogliere quella conversazione, ma so che molti allora non lo erano e forse non lo sono ancora oggi.  

Perché? Perché il nostro sistema scolastico si basa sull’idea di abilità accademiche e le scuole stesse sono state inventate per venire incontro ai fabbisogni industriali. C’era bisogno di persone che lavorassero nelle industrie, e per lavorare nelle industrie bisognava insegnare di più le materie più utili per lavorare in quelle industrie e quindi si formò tutta quella mentalità del “questo è ciò che devi fare per trovare un lavoro, non il ballo, non l’arte”. E se ci pensiamo, l’università ha modellato il sistema scolastico a sua immagina e somiglianza, perché la scuola deve preparare all’università, e quindi il messaggio è diventato “se non fai tutto il percorso scolastico, non puoi andare all’università e QUINDI non puoi trovare un lavoro”. E cosa è successo? È successo che molte persone che avevano dei talenti incredibili, persone creative, persone che potevano arrivare da qualche parte, hanno iniziato a pensare di non valere perché magari non andavano bene a scuola, perché non prendevano dei voti alti e perché le cose in cui loro erano bravi non avevano valore nel sistema scolastico tradizionale, anzi magari erano addirittura stigmatizzate.           

E proprio riguardo a questo fu proprio da Ken Robinson che io sentii per la prima volta una storia che da allora mi sono sempre portata dentro, ed è la storia di Gillian Lynne, che io conoscevo di nome perché avevo visto il fantasma dell’opera a teatro e Gillian Lynne era proprio la regista coreografa, una signora che ebbe una carriera incredibile come ballerina e poi divenne coreografa di fama mondiale che ha messo in scena colossi musical di b Broadway del calibro di Cats e Il fantasma dell’opera.

Robinson racconta che Gillian aveva 6 anni quando sua madre decise di portarla da uno psicologo perché non stava mai ferma a scuola e le insegnanti pensavano soffrisse di un disturbo dell’apprendimento (e Robinson dice che oggi lo chiamerebbero sindrome da deficit di attenzione e iperattività ma allora non era stata ancora inventata). Alla prima seduta, dopo una chiacchierata iniziale, il dottore chiese alla madre di accompagnarlo fuori un momento, ma prima di uscire, e lasciare Gillian da sola nella stanza, accese la musica. I due, di nascosto, si misero a osservare la bambina: la piccola ballava. Lo psicologo disse alla madre: «signora, Sua figlia non è malata; è una ballerina. La Porti a una scuola di danza». E sua madre la portò e Gillian racconta che quando entrò in sala si sentì a casa, era pieno di persone come lei, che non potevano stare ferme, che dovevano muoversi per pensare. 

Per tantissimo tempo ogni volta che sentivo questa storia piangevo. Ancora oggi mi emoziona in modi che non riesco nemmeno a descrivere perché se questa bambina avesse trovato uno psicologo diverso che le avesse detto “devi stare ferma” e le avesse dato delle medicine per stare ferma, avrebbe sofferto immensamente e chissà se mai sarebbe arrivata dove è arrivata.  E chissà quanti bambini come lei.

Ma a dire il vero non era questo di cui vi volevo parlare. perché nel video Robinson racconta anche un’altra storia divertente, di una bambina che a scuola stava disegnando a scuola e l’insegnante le chiese che cosa stesse disegnando e lei disse: “sto disegnando Dio” e l’insegnante disse: “Ma nessuno sa come è fatto Dio” E la bambina rispose: “Appena ho finito lo sapranno”. Allora non avevo figli e non lavoravo ancora con i bambini ma oggi dopo oltre 10 anni, quella determinazione, quella sicurezza, quella spontaneità dei bambini a me lascia ancora sempre basita.

Perché come dice Robinson i bambini ci provano. Se non sanno fare qualcosa, ci provano lo stesso. Non hanno paura di sbagliare. Ma poi diventano adulti, e quella capacità la perdono. Diventano terrorizzati al solo pensiero di sbagliare. Perché la nostra società stigmatizza l’errore. La scuola stigmatizza l’errore. E tra l’altro questo fu anche una delle cose che adorai quando scoprii Maria Montessori anni dopo, — anzi, ora che mi guardo indietro e collego i puntini qu esto discorso di Ken Robinson ha forse aperto la strada strada che mi avrebbe portata a Maria Montessori —  lei nei suoi scritti insiste sull’importanza di creare una famigliarità con l’errore, perché l’errore deve essere considerato un amico, e oggi anni dopo aver scoperto montessori credo fortemente che l’autostima e la paura del fallimento siano altamente relazionate al nostro livello di famigliarità con l’errore: più i bambini sanno accettare i propri errori a cuor leggero, meno temono di non farcela. Meno temono gli errori, più autostima hanno.  

Ed è anche per questo che adoro le scuole montessori, perché la scuola tradizionale non insegna questa famigliarità con l’errore. Il sistema educativo tradizionale stigmatizza l’errore, gli errori a scuola sono negativi, se fai un errore in un test avrai un risultato inferiore, e questa mentalità si traduce nella vita. Da adulti, sentiamo di aver fallito quando sbagliano, e invece dovremmo crescere con l’idea che è solo dagli errori che impariamo.

E il risultato di questa mentalità è che stiamo togliendo ai nostri bambini la loro capacità creativa, perché la scuola non nutre né appoggia la creatività, soprattutto dopo i 6 anni, quando il focus principale diventano i risultati piuttosto che l'amore per il sapere. È un sistema standardizzato in cui devi dare risposte standardizzate.

Quando insegnavo inglese a bambini piccoli a Marbella a volte li aiutavo a studiare le materie in inglese per un test, e non dimenticherò mai le parole di una bimba di 8 anni: "Dobbiamo usare le parole del libro perché se no l'insegnante ci abbassa il voto". Nei miei anni di insegnamento, queste parole le ho ascoltate parecchie volte, purtroppo.

E sembrerà buffo, ma mio marito è la persona più creativa che conosco e anche quella che ha trascorso meno tempo a scuola. E chissà magari anche per questo non ha mai perso la sua creatività e spontaneità infantile.

e spero che le insegnanti che mi stanno ascoltando non me vogliano credo ci sono tanti insegnanti fantastici le cui ali sono tappate da un sistema scolastico che non è incentrato sul bambino ma sul voto, 

E certo, io spero che prima o poi il sistema educativo vada nella direzione opposta. Lontano da un sistema standardizzato che insegna a tutti gli studenti allo stesso modo e li valuta secondo tabelle predefinite o paragonandoli gli uni agli altri. E vada verso un sistema inclusivo in cui personalizziamo l'istruzione per i bambini a cui insegniamo; in cui nutriamo la creatività, il pensiero divergente e i talenti individuali dei nostri figli. 

Ma fino ad allora credo, che siamo noi genitori i veri educatori. Dobbiamo prenderci sempre di più questa responsabilità.

E chiudo con un pensiero di Robinson, sulla scuola, ma che credo che valga anche per il genitore a casa, che parafrasato fa più meno così. Dobbiamo ripensare i principi fondamentali sui quali educhiamo i nostri figli, dobbiamo educare i nostri figli nella loro interezza, perché solo così diamo loro gli strumenti per affrontare il futuro. Perché noi forse non vedremo questo futuro, ma loro sì.

E con questo ti saluto. 

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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