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Episodio 28 ·

Perché non sono religiosa e cosa dico ai miei figli

In questo episodio di Educare con Calma parlo di religione, del perché non sono religiosa, del perché non sono credente e di come decido di parlarne con i miei figli.

So che per molte persone questo è un tema delicato, ma io lo tratto nell’unico modo che conosco: con i filtri della sincerità e della normalità. Spero possiate accoglierlo con rispetto e gentilezza.

Ps. Nell’episodio si intuisce, credo, ma per chiarezza, noi abbiamo scelto di non battezzare i nostri figli per tutti i motivi che spiego nell’episodio. Inoltre, ho sempre pensato che quando saranno grandi potranno decidere di fare il battesimo, ma se fossero battezzati non potrebbero “cancellarlo”.

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In questo episodio del podcast ho deciso di raccontarvi la mia esperienza con la religione, perché non sono religiosa, perché non sono credente, qual è stato il mio percorso e parlerò anche di che cosa ho deciso di dire ai miei figli. In questo episodio racconterò anche una storia che ha a che fare con il suicidio quindi visto che so che alcuni di voi ascoltano questo podcast con i piccolissimi presenti, magari in altavoce con loro che giocano in salotto, preferirei che questo episodio lo ascoltaste da soli.

So che ho parlato della mia non religiosità qui e lì in molti articoli ed episodi, soprattuto quando ho parlato del Natale, ma non sono mai entrata davvero nei dettagli, perché… perché, lo ammetto, è scomodo parlare di religione in Italia. Io vivo all’estero da ormai 15 anni e raramente mi sono sentita giudicata o criticata al dire che non sono religiosa e che non credo in Dio. In italia, purtroppo, è diverso, quindi credo che la mia mente abbia deciso di procrastinare su questo argomento perché non ho molta voglia dei commenti. Ma la verità è che sono pronta. Da qualche anno a questa parte mi sento pronta a parlarne perché mi sento sicura della mia scelta. Ma vi assicuro che questo passaggio non è stato assolutamente immediato, anzi. 

Voi ormai mi conoscete un pochino, io nella mia vita ho preso moltissime decisioni che mi hanno allontanata da quella che per me era la normalità, dalla mentalità mainstream, dall’educazione tradizionale (e anche dalla religione perché io sono stata cresciuta cattolica) e devo dire che ogni volta che ho preso queste decisioni c’è stato un periodo di transizione, un periodo in cui sentivo di essere sulla giusta rotta ma c’erano delle correnti che mi riportavano indietro e quindi dovevo ancora lottare attivamente, remare attivamente contro quel qualcosa da cui mi distanziavo. E ho detto lottare istintivamente perché sentivo proprio di dover rifiutare con tutte le mie forze quello da cui mi distanziavo, ma con il passare degli anni mi sono resa conto che questo avveniva perché non ne ero ancora sicura: sentivo di dover andare in una direzione, ma in realtà dentro di me non l’avevo ancora accettato. 

È un po’ come quando prendiamo scelte diverse da quelle dei nostri genitori nell’educazione dei nostri figli: finché non ne siamo noi stessi sicuri al 100% e non ci sentiamo completamente sereni della nostra scelta, perché magari ci sentiamo in colpa per questa scelta, o magari non abbiamo ancora avuto modo di processarla, di accettarla, di pensare a tutti i risvolti e alle conseguenze… tendiamo ad attaccare se ci sentiamo criticati, perché sentiamo di dover ancora rifiutare con forza quel qualcosa da cui ci siamo distanziati, perché quella scelta non fa ancora parte di noi. Un po’ come quando a natale tanti di voi mi hanno scritto “sei l’unica che conosco che riesca a non lasciarsi influenzare dal non vivere il natale in modo tradizionale, sei l’unica che conosco che non le importa se i bambini non vivono la magia del natale” in realtà, non è che non mi importa, è che io sono sicura della mia scelta, sono convinta che sia la scelta migliore per noi e per questo le critiche e i commenti non mi toccano, mi fanno riflettere, certo, ma non mi generano emozioni contraddittorie, non più almeno, perché ho passato ho passato qualche natale in un limbo se vogliamo, a capire che cosa per me fosse davvero importante o più importante e poi finalmente ho accettato che la scelta che avevamo preso era proprio quella che ci faceva stare bene e allora io non sentivo più di privare i miei figli del natale così come lo conoscevo io, ma sentivo di regalare loro un natale in linea con i nostri valori e con i nostri principi. 

E questo processo a me è capitato con tantissime scelte nella vita, con Montessori, con il mio tipo di alimentazione, con la scelta di viaggiare a tempo pieno, e anche con la religione. Io questa fase, questo limbo, la chiamo periodo di transizione: siamo portati a credere che il cambiamento arrivi quando prendiamo una decisione, ma ci sbagliamo, dopo aver preso quella decisione c’è ancora questa fase di transizione che dura fino a quando il cambiamento diventa parte di noi. Solo allora le critiche non ci toccano più, perché siamo sicuri della nostra scelta. E come dicevo prima, quando siamo sicuri che vivere il Natale in maniera diversa non significhi privare i nostri figli di qualcosa, ecco che non ci sentiamo più attaccati quando criticano la nostra scelta. Quando siamo sicuri di voler mettere un letto a terra invece di usare culla, ecco che non attacchiamo quando criticano la nostra scelta. Questa fase di transizione per me è importantissima perché è un po’ come se dopo aver preso una decisione la vita ci mettesse davanti tutti gli ostacoli che dobbiamo superare per vivere serenamente quella decisione. 

E per me con la religione il percorso è stato esattamente così, ma il periodo di transizione è stato molto, molto più lungo di qualsiasi altra decisione, perché ho avuto moltissimi ostacoli da parte di mia madre che è religiosa e che non ha saputo accettare che io non lo fossi o che non lo fossi più. Ma devo anche ammettere che tutti gli scontri che ho avuto con lei, tutte le discussione, anche animate che ho avuto con lei sul tema religione, mi hanno insegnato molto sulla tolleranza e sul rispetto. Purtroppo non ho ancora mai sentito da parte sua accettazione e rispetto per la mia decisione, perché comunque trovo che ogni volta che parliamo non c’è più giudizio ma c’è comunque un tentativo di riportarmi sulla retta via, ma ogni volta che litigavamo imparavo io modi nuovi per rispettare il suo credo e il credo in generale. Ma ovviamente ce l’ho fatta a tutti gli effetti solo quando è finita la mia fase di transizione. 

Ricordo che un giorno mi lamentavo con Alex di una di queste discussioni con mia madre e lui mi ha detto: Carlotta, il problema non è tua madre, non è il suo credo. È che tu stai ancora lottando contro la religione. Finché continui a lottare, significa che non te ne sei liberata. Devi riuscire ad accettare questa tua scelta per liberartene” ed è in quel momento che ho capito che l’unico passo che mi mancava era proprio accettare la scelta, accettare che questa scelta non era nient’altro che una scelta, una scelta come qualsiasi altra, un po’ come quando a qualcuno piace il pandoro e a qualcun altro il panettone e non ne fai un grosso problema. È una scelta, è una preferenza. Ecco, io stavo ancora trattando la religione come un tabù e questo le dava molta importanza nella mia mente, un’importanza solenne, quasi come se questa scelta decidesse il tipo di persona che sono, quando in realtà non è affatto così: sono Carlotta, ho gli stessi valori morali e gli principi sani sia che mi piaccia il panettone sia che mi piaccia il pandoro. 

Questa scelta non mi definisce. E allo stesso modo non mi definisce la scelta di credere o meno in Dio. Ed è in quel momento che ho capito che in realtà ero libera. In realtà essere religiosa o meno per me era proprio come preferire il pandoro o il panettone. Mi arrabbierei o attaccherei se qualcuno mi criticasse perché mi piace di più il panettone del pandoro (che è vero tra l’altro?). No, perché è una scelta mia personale, di cui sono sicura e che non mi definisce in alcun modo. 

E con la religione è lo stesso: per me non credere in Dio non mi definisce, non definisce la persona che sono, non definisce il mio valore come individuo. E so che qualcuno probabilmente si risentirà un pochino del mio paragonare il credere o no a Dio al preferire il pandoro o il panettone, ma per me questo paragone è necessario per farvi capire che se oggi riesco a parlare liberamente e tranquillamente della religione e soprattutto della mia scelta di distanziarmene è proprio perché ho passato, ho finito la mia fase di transizione, sono riuscita a capire che peso abbia la religione nella mia mente, nel mio cuore e ho capito che non ha un peso più importante di altri argomenti e anche per questo il credo personale per me non è più una barriera, non è più un tabù e sicuramente non è importante per definire me stessa, gli altri o le mie relazioni con gli altri.
Quindi con questa premessa oggi mi piacerebbe rispondere a una domanda che mi è stata fatta spesso quando dico che non sono più credente nonostante io sia stata cresciuta cattolica ed è perché. 

Perché non credo più? Che cos’è successo?

Dunque, la domanda è breve, la risposta un po’ meno, ma provo a essere concisa. Effettivamente io ho il battesimo, ho la comunione e ho la cresima, sono stata felice di fare sia la comunione che la cresima, l’ho deciso io anche se onestamente non ricordo che qualcuno mi abbia mai chiesto se volessi farlo o meno, quindi non l’ho fatto contro voglia, ma non l’ho fatto con consapevolezza, l’ho vissuta un po’ come se fosse l’unica opzione e non l’ho messa in dubbio. Ricordo che andavo a messa tutte le domeniche, facevo la comunione e la sentivo, questa spiritualità, aveva un valore profondo per me. Poi da adolescente, nonostante i miei amici più stretti fossero credenti, ho iniziato a vedere delle discrepanze, c’erano molte cose nella chiesa che non mi piacevano, una su tutte la messa della domenica, mi sembrava una sfilata di abiti di marca, una farsa. Allora cominciai ad andare a messa di sabato pomeriggio, quando la chiesa era vuota e potevo concentrarmi sulla mia spiritualità. Ma qualcosa stava cambiando dentro di me e stavo iniziando a mettere in dubbio anche quella spiritualità, non la sentivo più come una volta, mi sentivo quasi come se stessi recitando un copione. Non lo sentivo vero, non lo sentivo autentico.

Avevo circa 19-20 anni quando mi sono allontanata senza ritorno dalla religione ed è successo quando ho conosciuto un’amica virtuale, dico virtuale perché l’ho conosciuta su una chat online di cui ricordo ancora il nome, si chiamava cuneo2night, i piemontesi forse la ricorderanno, comunque lei era amica di un amico comune. E purtroppo qualche settimana dopo che ci siamo conosciute si è suicidata. In quelle poche settimane, eravamo entrate molto in sintonia, ci piacevamo, ci stimavamo, lei aveva appena compiuto 18 anni, aveva fatto l’esame della patente, sembrava felice. Poi un giorno mi scrive un messaggio, un messaggio che potrei ancora recitare a memoria, perché è scolpito per sempre nella mia mente. Ma il succo era che pensava spesso di suicidarsi, perché questo mondo non le piaceva, la spaventava. La sua idea era quella di buttarsi giù da un edificio alto, ricordo che mi scrisse che l’unica sua paura era di non morire sul colpo. Io in quel momento, per come lei aveva scritto le cose, in maniera abbastanza light in realtà, non capì quanto fosse seria, io stessa ero un’adolescente che sentiva le sofferenze profondamente (come credo tutti gli adolescenti) e il pensiero di buttarmi giù dalla finestra di camera mia in un momento di disperazione ce l’avevo avuto anche io, ma ovviamente non l’avrei mai fatto davvero. Quindi le scrissi un messaggio molto lungo, che era un po’ un inno alla vita raccontandole di me, di quello per cui secondo me valeva la pena vivere, del potenziale che vedevo in lei (quel messaggio è ancora da qualche parte, magari anche pubblicato sul mio blog su un articolo che scrissi proprio sul suicidio anni dopo). E lei mi rispose, mi disse che sapeva che avevo ragione, che le piaceva tantissimo quello che avevo scritto, che lo sentiva essere vero. E mi scriveva anche che in un’altra vita le sarebbe piaciuto essere saggia come me e magari avermi conosciuta prima, ma che per lei ormai era finita perché lei aveva preso la sua decisione. Il suo tono era proprio cambiato, non so come spiegarlo ma aveva come un tono di imminenza, allora anche se non era da me, scrissi immediatamente al nostro amico comune che pensano che potesse contattare la famiglia e poi scrissi a lei un messaggio chiedendole di vederci o di sentirci per parlarne. Ma era già troppo tardi. Lei scomparve proprio quella sera e la cercarono per tre giorni, tanto che finí anche su telegiornali e programmi televisivi, ma nulla. Nessuno l’aveva vista e la ritrovarono poi morta ed effettivamente si era lanciata da un edificio e purtroppo sembra dall’autopsia che non era morta sul colpo quindi oltre allo shock che io provai, continuavo a immaginare proprio quella sofferenza degli ultimi suoi momenti che mi ha un po’ “perseguitata” a lungo. 

Ma in realtà il momento in cui io decisi di allontanarmi da Dio e dalla religione fu al suo funerale, di cui ho proprio solo un ricordo, ovvero sua madre che si alza e fa un discorso in cui dice “Sono felice perché ora la mia ragazza è con Dio". Quella frase mi fece arrabbiare tanto, non so spiegarvelo, è una sensazione di quelle che credo si provino in momenti di sofferenza, che quello fu il momento in cui io capii che non credevo più in Dio. In quel momento io mi dissi no, non è vero, chi stiamo a prendere in giro, lei non è con Dio, lei non è più e basta.  

E da lì sono passati 15 anni, ho conosciuto Alex che per me è stata una ventata di aria fresca perché lui non aveva gli stessi miei conflitti riguardo la religione, lui è stato cresciuto sapendo che esiste la religione, ma non prendendone parte, quindi era molto rilassato su tutto questo argomento, cosa che mi ha aiutata molto ovviamente, perché io avevo bisogno di normalizzare quella conversazione e quell’argomento, avevo bisogno di ridurre la solennità e aumentare la normalità, in un certo senso. 

E poi dopo quella prima fase di transizione di cui vi parlavo in cui rifiutavo tutto ciò che era spirituale, piano piano ho iniziato a riconsiderare la spiritualità, ma considerando altri concetti, come il concetto di energia di una persona, più che dell’anima, questo per la mia mente scientifica funzionava perché l’energia non si crea e non distrugge, ma si trasforma e quindi questo concetto mi piaceva, l’idea di trasformarci, ma senza per forza etichettare nessuna religione, senza mettermi in una scatola, come spesso vedo che le persone sentono di dover fare. 

Io invece personalmente non mi sento più scomoda a non appartenere a nessun gruppo, come non mi sento più scomoda a non appartenere a nessuna nazionalità, per esempio, io non mi sento più davvero Italiana ma non sono nemmeno spagnola, non sono inglese, non sono neozelandese, sono cittadina del mondo e questo mi basta e per la religione, come per tutto il resto, è lo stesso concetto, non sento il bisogno di catalogarmi, ecco; e poi un giorno tantissimi anni fa ho sentito nel bellissimo documentario Cosmos di Neil de grasse Tyson, lui è uno scienziato che io apprezzo tantissimo e se non avete visto la serie ve la consiglio vivamente, credo che ci sia anche in italiano o comunque sottotitolata, e da lui per la prima volta ho sentito il concetto che siamo tutti polvere di stelle, ma non metaforicamente, proprio letteralmente perché gli atomi dei nostri corpi sono riconducibili alle stelle che li hanno fabbricati nei loro nuclei e quindi in realtà siamo biologicamente tutti collegati a ogni altro essere vivente dell’universo e a ogni molecola sulla terra — e questo è un principio tra l’altro spiego anche nel mio corso co-schooling citando un bellissimo scritto di Mario Montessori, il figlio di Maria, ed è un concetto che guida moltissimo i miei passi da quando ho iniziato il mio viaggio nella sostenibilità circa tre anni fa. 

Per me è stato davvero importantissimo questo pensiero che siamo tutti collegati, perché mi ha dato un nuovo senso di accettazione, tolleranza e rispetto verso gli altri, ma anche verso il nostro pianeta, verso tutta la natura che ci circonda: tra l’altro tempo fa mi ritrovai in una citazione che diceva: “L’uomo è una specie folle. Prega un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Inconsapevole che la Natura che distrugge è lo stesso Dio a cui prega”.

E io un po’ mi sento così, nel senso che se oggi dovessi forzatamente scegliere un Dio a cui pregare, sceglierei sicuramente la natura che ci circonda più che una divinità. 

Ma tutto questo ve lo racconto per dirvi che non è che un giorno mi sono svegliata e non ho più creduto in Dio, c’è stata un’evoluzione lunghissima dopo l’aver capito che non credevo più in Dio, ma che ora che lo so e l’ho accettato dentro di me, non mi spaventa più parlarne, non mi fa più sentire a disagio, non mi fa più temere la reazione delle persone e tra l’altro non mi fa più sentire sbagliata se mi criticano perché so e accetto che non essere credente fa parte di me, ma non mi definisce, non definisce chi sono, non cambia quelli che sono i miei valori più profondi che secondo me dovrebbero comunque essere sempre separati dal credo religioso (nel senso che il credo religioso può essere uno di quei valori profondi, ma non tutti i valori più profondi di una persona dovrebbero derivare dal credo – poi questa è la mia personalissima opinione, ovviamente.   

Wow, ok, ve l’ho detto che sarebbe stato un episodio diverso, intenso e non pensavo sarei scesa così in profondità, ma sono contenta di averlo raccontato. E so che magari sentire tutto questo dalla mia bocca vi stupirà, magari non ve l’aspettate, perché di solito non sono tematiche di cui parlo, cioè non ho mai nascosto di non essere né religiosa né credente, ma non ne ho mai davvero parlato apertamente, ne ho parlato più privatamente con persone che mi chiedevano.

E ovviamente in tutto questo rimane da parlare dei bambini. Che cosa dico ai bambini? Allora, prima di tutto, io tengo sempre in mente che i miei non sono me, loro dovranno fare il loro percorso e dovranno decidere per sé, e per questo non ho alcun interesse a passare a loro il mio passato conflittuale con la religione e il mio pensiero di oggi. So per certo che ci sono delle parti della religione che condanno e di questo parlerò apertamente con loro: per esempio l’inferno, l’idea che se non ti comporti bene bruci nelle fiamme dell’inferno, io credo che sia una bestialità da dire ai bambini, e che come non c’è posto per le minacce nel mio tipo di educazione non c’è sicuramente posto per un concetto così brutale, arcaico e secondo me abusivo come l’inferno. E questi sono valori che vanno oltre la religione e che credo sia importante comunicare ai bambini quando arrivano le domande. Perché voi sapete che io sono dell’idea che sia meglio aspettare le domande prima di dare le risposte, su qualsiasi tema.

Ora, non ci siamo ancora arrivati a queste domande, ma quando arriveranno, so che risponderò come rispondo a tutto: con sincerità, ma soprattutto con normalità, perché per me parlare di religione non dovrebbe essere anormale, non dovrebbe essere questo tabù, questa nuvola nera che copre la conversazione e che preannuncia piogge torrenziali (perché a volte mi sembra davvero che questa conversazione sia una nuvola nera per le persone, nel senso che molti investono questo argomento di una solennità e di un importanza tale da renderlo più difficile da trattare, un po’ come la sessualità e altri argomenti che io invece credo che dovrebbero essere completamente naturali, spontanei, sereni. Penso che le religioni quando trattate come tabù o come un argomento di scontro, di conflitto, di separazione, innalzino muri invece di ponti, non solo tra culture diverse, ma anche con le persone che ci circondano e io personalmente ho deciso che la mia missione nella vita con i miei figli e con tutti gli altri è creare ponti, non alzare muri.

Quindi cosa dirò loro? Dirò loro che diverse persone credono in diverse divinità. Alcune non ci credono affatto, alcune sono indecise e lo decidono da adulti, a seconda delle esperienze che fanno. Dirò che ci sono persone come la nonna che vanno a messa e credono al Dio cattolico e lo celebrano a Natale, per esempio. Ci sono persone che credono nel dio Hindu, Lord Murugan, e gli portano offerte ai tempio e ricorderò loro quando anche noi in Malesia abbiamo assistito al thaipussam, il festival dedicato proprio a questa divinità. 

Dirò loro che ci sono persone che credono in un dio buddista e in Lady Buddha come la nostra guida in Tailandia e vanno a pregare nei tempi come tutti i meravigliosi tempi che abbiamo visto in Tailandia… insomma, ci sono persone che credono e pregano e altre persone che non credono e non pregano. È normale ed è qualcosa a cui non sono stata esposta da bambina, a me è sempre stato detto che credere era l’unica strada corretta. E di tutto questo parlerò con loro con naturalezza, come parliamo di qualsiasi cosa, come parliamo del pandoro o del panettone, come dicevo all’inizio. Perché personalmente credo che questo sia il modo giusto per avvicinarsi ad argomenti che purtroppo sono motivo di conflitto, di confusione nel mondo.

Ma in realtà credo che la conversazione sia già stata aperta in questo viaggio per il mondo, l’abbiamo aperta ogni volta che abbiamo esposto Oliver ed Emily a diverse religioni, a diverse celebrazioni e li abbiamo portati a visitare diversi tempi con le guide che ci spiegavano delle loro divinità e dei loro rituali oppure anche solo a visitare le chiese che incontravamo in giro per il mondo per ammirarne l’architettura, goderne il silenzio.

E per quanto riguarda quello che credo io, Carlotta, come dicevo prima, a meno che non me lo chiedano, non vedo motivo di dirglielo 1. perché se non me lo chiedono probabilmente non lo trovano rilevante e 2 perché personalmente non ho alcun desiderio di influenzarli in una decisione che può essere solo loro, una decisione che solo loro possono prendere. So che nel momento in cui me lo chiederanno sarò disponibile a spiegare i miei perché ma sarò anche pronta a dire loro che ognuno decide per sé e che io rispetterò sempre le loro decisioni, e quando non sarò d’accordo potremo parlarne con la stessa passione con la quale parliamo di panettone e pandoro. Devo sempre ricordare che loro si fidano di me, di noi, e io non voglio usare questa fiducia come un modo per portarli dove voglio io, ma come una responsabilità di lasciare che vadano dove vogliono loro. 

Tra l’altro un genitore credente qualche tempo mi ha fatto una bella domanda: “come si cresce un figlio che non rigetta la religione?” perché mi spiegava, questo genitore, che vede sempre più bambini che abbandonano il credo religioso da adolescenti. Io ovviamente non le sono stata di grande aiuto, perché la mia storia è stata proprio così, ma le ho detto solo che secondo me oltre a cercare di lasciarli liberi nelle loro decisioni, e magari di esporli a religioni diverse, la cosa più importante è far sì che la religione sia qualcosa di bello, di positivo, che non abbia quella solennità e quella severità di cui parlavo prima, che io purtroppo ritrovo ancora molto in italia, per esempio. 

A me sembra chiaro che un bambino che non vuole andare a messa ed è forzato ad andarci perché i genitori non sono flessibili e vogliono insegnarli già da subito il protocollo della persona credente, per me inizia con il piede sbagliato il suo rapporto con la religione, mi chiedo come possa arrivare poi davvero ad apprezzare la religione in maniera spontanea, anche spensierata, come dovrebbe essere un qualcosa che ti fa stare bene. Ecco, se la religione non è qualcosa che fa stare bene, io credo sia più probabile che i ragazzini se ne allontanano. Ma poi nel mio caso è stato per altri motivi, quindi non si può mai sapere, è vero tutto e il contrario di tutto. Ma se io volessi che i miei figli siano religiosi, sicuramente approccerei la religione con naturalezza e serenità e senza imposizioni, con flessibilità e seguendo il bambino.      

E basta, potrei probabilmente continuare a raccontarvi aneddoti su aneddoti e parlare di più di questa nostra decisione, ma credo di avervi detto l’essenziale e spero che possiate accoglierlo con rispetto e con gentilezza, perché alla fine è questo quello che dobbiamo insegnare ai nostri figli, accogliere ogni conversazione, anche quelle che non ci trovano d’accordo, con rispetto e gentilezza e io stessa ovviamente lo sto ancora imparando, è facile lasciarsi prendere dalle emozioni quando le persone non sono d’accordo con qualcosa in cui noi crediamo fortemente, nel profondo, ma imparo e miglioro ogni giorno. Perché solo essendo io stessa la persona che vorrei che diventassero i miei figli, posso aiutarli ad andare in quella direzione.

E con questo vi saluto, grazie per aver ascoltato fin qui,  e vi do appuntamento al prossimo episodio di Educare con Calma. Buona giornata, buona serata o buona notte a seconda di dove siete nel mondo.

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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