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Episodio 34 ·

Etichette: smettiamo di mettere le persone in scatola!

Questa settimana su Educare con Calma parliamo di etichette (parole che usiamo per definirci), del perché penso che siano nocive per conversazioni e relazioni e come sostituirle nel nostro linguaggio. 

Vi lascio il link all'episodio sul mio blog, dove potete anche leggere la trascrizione, trovare i post relazionati al tema di cui parlo e anche lasciarmi un commento per avviare una conversazione.

Nell'episodio menziono anche questa IG TV "Basta con le etichette!" e questo vecchio post "Il papà è una mamma con il pene".

PS. Questa settimana ho anche pubblicato un episodio di Montessori in 5’ e vi ho raccontato come girare le frasi in positivo per aiutare i bambini a rispettare le regole.

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  • Co-schooling – educare a casa: un corso online su come affiancare il percorso scolastico per dare l’opportunità ai bambini di non perdere il loro naturale amore per il sapere.
La scorsa settimana ho parlato su IG di quanto le etichette siamo deleterie nella nostra società, non solo per i bambini ma anche per gli adulti. Oggi vorrei approfondire. 
Prima di tutto vorrei spiegarvi il mio punto di vista sul perché le etichette siano nocive e poi vorrei darvi alcuni spunti su come cambiare alcune delle etichette più comuni del nostro quotidiano.
Iniziamo dai bambini:
Immaginiamo un bambino che sente sempre i genitori descriverlo come timido ogni volta che si nasconde tra le gambe della mamma quando incontra persone nuove. Che cosa pensa quel bambino? Sono un bambino timido. Che cosa fa quel bambino? Crea quell’immagine di sé nella sua mente e inconsciamente soddisfa l’aspettativa che le persone hanno di lui continuando a nascondersi perché tanto pensa “sono un bambino timido”. 
Prendiamo una bambina che non vuole mai camminare (ne so qualcosa perché noi abbiamo passato un periodo lungo con Emily che ogni volta che andavamo a fare una passeggiata voleva mettersi nel marsupio). Se noi avessimo continuato a dirle “Emily sei proprio pigra” o a spiegare alla gente che la vedeva nel marsupio “Emily è un po’ pigra”. Che cosa avrebbe pensato Emily? Sono una bambina pigra. Che cosa avrebbe fatto Emily? Avrebbe creato nella sua mente quell’immagine di se stessa e avrebbe inconsciamente continuato ad andare nel marsupio pensando “tanto sono una bambina pigra, questo è il mio posto quando loro camminano”. 
Ok, lasciamo un momento i bambini e passiamo agli adulti, perché per gli adulti, anche se noi siamo più abituati a processare emozioni, le etichette hanno lo stesso effetto. 
Nel mio corso Educare a Lungo termine propongo un esercizio che consiste nel chiudere gli occhi mentre io dico alcune frasi con etichette positive e negative  come Sei gentile Sei irragionevole Sei generosa o anche un’espressione come Fai sempre la vittima e chiedo di riflettere su come queste etichette vi fanno sentire e immaginare come vi sentireste verso la persona che ve le dice. Posso dirvi quello che sento io. Le etichette negative smuovono un disagio dentro di me e mi fanno automaticamente mettere sulla difensiva. Le etichette positive mi fanno piacere, ma se rappresentano un tratto di noi che non sentiamo vero, creano comunque disagio, ci creano una cosa simile alla famosa sindrome dell’impostore. Quindi magari noi adulti non creiamo una immagine di noi stessi perché possiamo razionalizzare, ma quelle etichette non solo creano sensi di colpa che rimangono con noi più o meno a lungo, ma perpetuano anche aspettative e stereotipi nella società. Penso alle classiche “la brava mamma” o “la mamma cattiva”. Penso all’etichetta “ambiziosa” per una madre che nell’immaginario collettivo spesso è sinonimo di egoista, per esempio. Penso all’etichetta “presente” per un padre che spesso nell’immaginario collettivo è sinonimo di “buon padre”.
Ma un padre presente non è necessariamente un buon padre perché magari passa molto tempo a casa con i bambini ma è sempre al cellulare e magari grida ogni volta che i bambini sbagliano qualcosa ai suoi occhi.
Una donna ambiziosa non è necessariamente una madre egoista perché magari arriva a casa tutte le sere e passa del tempo di qualità con i propri figli, ed è soddisfatta di sé, che aiuta moltissimo l’armonia in famiglia.
Le etichette ci mettono in scatole. Sia nella mente degli altri che nella nostra mente. Quando dico “ci mettono in scatole” immagino proprio una stanza enorme piena di scatole giganti con scritto sopra varie etichette, per qualsiasi cosa: vegetariano, cattolico, mulatto ecc ecc 
Quando una persona è in una scatola, e noi leggiamo l’etichetta sulla scatola è molto più difficile che ci creiamo un’idea di quella persona in base a quello che la persona è, alla sua individualità, alla sua unicità. È molto più probabile invece, che anche solo inconsciamente, anche se abbiamo le più buone intenzioni, ci creiamo un’immagine di quella persona in base a quello che l’etichetta dice, perché l’etichetta di traduce nella nostra mente in aspettative e generalizzazione di valori e attitudini. Mi è capitato tantissime volte di assistere a conversazioni tra conoscenti in cui uno dice all’altro di essere vegano, per esempio, e l’altro d’istinto traduce quell’etichetta nella sua mente come una generalizzazione (perché magari nella sua esperienza ha conosciuto qualche vegano estremista e poco tollerante delle scelte altrui di consumare carne e ha generalizzato). Oppure magari si fa un’idea della persona in base alla sua caratteristica di essere vegano e istintivamente pensa che sia anche un – sparo a caso – attività per il clima. Oppure ancora quell‘etichetta lo mette sulla difensiva perché la sente come un attacco al suo stile di vita e alle sue scelte.
Allo stesso modo un bambino che viene definito “molto attivo” automaticamente è monello; un bambino che viene definito “molto calmo” automaticamente è timido. Cioè, io credo che le etichette facciano davvero tantissimi danni sia nelle conversazioni, sia nelle relazioni. Non solo tra genitori e figlio, ma tra adulti, tra amici, tra conoscenti, tra sconosciuti.
Sentiamo spesso dire che non si può giudicare una persona dall’apparenza, be’ allo stesso modo bisognerebbe creare l’espressione non si possa giudicare una persona dall’etichetta. Le apparenze ingannano. Le etichette ingannano.
Come ho eliminato o cerco di eliminare le etichette? Una soluzione semplice è rimuoverle. 
  1. Possiamo cambiare la parola singola con una frase. Per esempio io da qualche anno potrei definirmi quasi vegana perché mangio carne e pesce solo quando so da dove arrivano. Invece scelgo di non definirmi e dico “preferisco non mangiare carne se non so da dove arriva”. Invece di dire Emily è pigra, dicevamo Oggi Emily sembra stanca, magari cercando anche di evitare “è stanca” perché in realtà non sappiamo se il suo non voler camminare sia dettato dalla stanchezza o da altri fattori. E aggiungevo “oggi” anche se lo faceva  spesso perché non volevo creare quell’immagine di sé nella sua mente di bambina ma nemmeno nella mia mente di genitore (perché quando un genitore ha un’immagine del figlio, è molto più difficile essere oggettivi e valutare ogni situazione a se stante). 
  2. Quindi cambiare una parola singola con una frase è un’opzione. Un’altra opzione è semplicemente omettere. Vi racconto un aneddoto. Eravamo a Parigi e avevo portato Oliver ed Emily a giocare in piazza dove c’erano anche tanti altri bambini. Mentre loro giocavano io mi ero seduta vicino a un signore, che avevo intuito essere il nonno di uno dei bambini con i quali giocavano Oliver ed Emily, e avevo iniziato una bellissima conversazione con questo signore ed ero super orgogliosa di me perché la conversazione era francese. E allora ricordo di aver scritto un messaggio ad Alex dicendo: ho parlato per un’ora con un signore in piazza interamente in francese e ci sono riuscita!”. Quello che avevo omesso in quel messaggio e anche nell’aneddoto che vi ho appena raccontato è che quel signore era nero. E nel messaggio originale che stavo per inviare ad Alex l’avevo scritto, ma rileggendolo mi era resa conto che non c’entrava nulla e così l’avevo cancellato. Ne parlai ad Alex solo mesi dopo per fare una riflessione su quanto le parole che scegliamo siano importanti e rivelino preconcetti e pregiudizi. Se il signore fosse stato bianco, non avrei mai scritto ad Alex “ho parlato per un’ora in Francese con un signore bianco”, perché allora avevo scritto che era nero? Perché avevo sentito il BISOGNO di scrivere che era nero? Ecco, quello è stato uno di quei momenti in cui ho capito che dovevo lavorare su di me, sui miei pregiudizi e sul mio anti-razzismo. Perché il modo in cui parlo io sarà il modo in cui parleranno i miei figli.
  3. Un’altra idea che avevo menzionato su IG in relazione a una famiglia e agli stereotipi di ruolo che si perpetuano anche dall’uso di etichette come quelle di cui parlavamo prima è quella di non parlare di un individuo ma di parlare di membri della famiglia: per esempio invece di dire “mio marito è presente” potremmo descrivere includendo i ruoli di tutta la famiglia per esempio “nella nostra famiglia io e mio marito ci diamo i turni per cucinare” “nella nostra famiglia mio marito cucina e io faccio le lavatrici”. E Su questo punto vorrei fare un appunto che richiederebbe forse un episodio a parte, ma io personalmente cambierei anche “mio marito mi aiuta in casa” perché questo implica che io devo fare tutte le faccende domestiche e mio marito deve solo aiutarmi, e secondo me anche questo perpetua uno stereotipo che non dovrebbe più esistere perché al giorno d’oggi, a meno che non ci siano equilibri individuali specifici, perché ogni famiglia è un mondo e non si può generalizzare, ma in una famiglia in cui entrambi i genitori lavorano, secondo me i papà dovrebbero avere tante responsabilità quanto le mamme. E se non è così, vi consiglierei una riunione di famiglia per cambiare la situazione, per trovare una soluzione che può essere dividersi i ruoli o trovare una signora delle pulizie che aiuti, perché sono sicura che a lungo andare questo tipo di squilibri danneggiano qualsiasi relazione.         
Ok, non c’entrava nulla con le etichette, ho seguito come sempre un filo della mia ragnatela di pensieri, ma tutto questo per invitarvi a riflettere sull’uso che facciamo delle etichette, su quante etichette usiamo, su quali etichette usiamo che magari non ci rendiamo nemmeno conto essere etichette e a fare uno sforzo per eliminare le etichette dalle vostre conversazioni, relazioni, e mentalità. E anzi vi lascio con un esercizio: scrivete una lista delle etichette che affibbiate in casa ai vostri figli o alla vostra compagna o il vostro compagno e un’altra lista con le etichette che affibbiate a voi stessi. 
Perché, e poi giuro che chiudo, anche le etichette che affibbiamo a noi stessi sono deleterie, se non più deleterie ancora. Per esempio, vi racconto un aneddoto personale. Io sono stata cresciuta con le bugie bianche, la mia mamma diceva le bugie bianche e io sono cresciuta con l’idea che le bugie bianche fossero innocue e quindi le ho sempre dette. Se sul bus il controllore mi beccava senza biglietto quando ero all’università, magari gli dicevo che ero appena salita e stavo andando a timbrarlo mentre invece ero sul bus da mezz’ora perché stavo andando da un lato all’altro della città. La mia scusa nella mia mente era che ero una studentessa e dovevo risparmiare, quindi andava bene dire una piccola bugia bianca, per avere la possibilità di non dover timbrare affatto il biglietto. Perché vi racconto questo? Perché queste bugie bianche mi hanno abituata a mentire e siccome mi riusciva bene, io mi sono creata nella mia mente l’idea di una persona che è brava a mentire. 15 anni dopo, dopo aver fatto un lungo percorso di autoanalisi e lavoro su me stessa, ho deciso che le bugie bianche per me non sono accettabili, nessuna bugia bianca, da babbo natale al “non capisco l’inglese” quando voglio che i miei figli mi parlino in italiano. Oggi giorno io non mento mai, anche quando la verità è scomoda, anche quando mi sento a disagio ad ammettere la verità, io non mento. Per principio. Perché è una di quelle cose che ho voluto fortemente cambiare, e per cambiarla ho deciso di fare l’opposto: non mentire mai. Il risultato è che oggi sono davvero pessima a mentire, arrossisco, si capisce immediatamente che sto mentendo. Eppure un giorno parlavamo con degli amici di bugie e di bambini che raccontano bugie e io ho detto: “io sono bravissima a mentire”. E appena l’ho detto mi sono detta, ma non è vero, perché l’hai detto. E mi sono resa conto che l’avevo detto solo perché l’immagine che avevo di me adolescente brava a dire le bugie bianche era ancora nella mia mente, non mi aveva ancora lasciata. Non avevo ancora aggiornato nella mia mente l’immagine della nuova Carlotta, non l’avevo ancora interiorizzata. Potrei raccontarvi un sacco di altri aneddoti simili, ma è solo per farvi riflettere sul potere delle immagini che creiamo nelle nostre menti e quindi sul potere delle immagini che le etichette che affibbiamo ai nostri figli creano nelle loro menti. E anche quanto a lungo queste immagini rimangano con noi e siano difficili da cambiare anche quando siamo in realtà siamo cambiati.
Se vi va, mi piacerebbe che mi raccontaste quali sono alcune immagini di voi stessi che avete dovuto cambiare o che avete fatto fatica ad aggiornare nelle vostre menti e magari anche quali etichette usate nel quotidiano che vorreste cambiare. Da oggi potete farlo finalmente sul mio blog www.latela.com/podcast, perché nella pagina di ogni episodio del podcast il mio maritino mi ha aggiunto la trascrizione, gli articoli relazionati che trovate sul mio blog e anche, rullo di tamburi, i commenti! Sono troppo felice perché spesso mi dite che vorreste poter farmi domande o dirmi la vostra opinione su un determinato episodio del podcast e ora potete farlo direttamente sulla pagina di ogni episodio). Insomma, piano piano stiamo aggiungendo dettagli che secondo me sono importanti per sentirci più vicini gli uni agli altri anche fuori dai social media, che sapete è una cosa che mi piace molto.
E violet, spero che questo episodio vi sia piaciuto e che vi abbia fatto riflettere sul potere delle parole e sull’uso che facciamo di alcune parole, perché come dico sempre credo fortemente che l’educazione si cambi soprattutto cambiando il linguaggio. 
Vi ricordo che ovviamente mi trovate anche su instagram e Facebook come lateladicarlottablog e non mi rimane che darvi appuntamento alla prossima settimana con un altro episodio di educare con calma. 
Buona serata, buona notte o buona giornata a seconda di dove siete nel mondo. Ciao! 

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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