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Quando l'orgoglio vince il buon senso

Carlotta Cerri
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Spesso mi chiedo perché non si riesca – o si riesca raramente – a mettere da parte l’orgoglio nelle discussioni. Basterebbe non parlarsi per qualche istante, raffreddarsi in stanze diverse e poi rincontrarsi in corridoio. Basterebbe un sorriso, un bacio.Invece a volte la testardaggine la fa da padrona. Magari vogliamo a tutti i costi avere ragione. Magari non siamo capaci di ammettere che abbiamo sbagliato. Magari non ci piace trovare un compromesso. Magari non ci piace dire “mi dispiace”.

E, puntualmente, ogni volta che siamo così ottusi, ci ritroviamo a posteriori a pensare “in effetti ho esagerato”. Magari abbiamo detto una parola di troppo che ne ha tirata un’altra e un’altra ancora – perché le frasi sbagliate dette in preda alla rabbia sono come i cioccolatini – uno tira l’altro.

Magari aspettiamo che sia l’altro a cedere. Ci chiudiamo nel nostro angolo di cocciutaggine sapendo che prima o poi l’altro farà il primo passo. Magari aspettiamo solo di sentire bisbigliare all’orecchio quelle paroline – mi dispiace – per dirle a nostra volta e abbassare le difese.

Perché a quel punto il gioco è fatto: il nostro ego ha vinto. Non ha ceduto alla misera e diffamante vergogna di chiedere perdono per primo. È intatto, forte, ancora infallibile. Felice di non essersi spezzato.

E noi? Noi abbiamo perso un’altra occasione di crescere. Di guardare in faccia la realtà ed essere onesti con noi stessi prima che con l’altro. Di essere assennati e di permettere alla ragione di vincere l’orgoglio.

Ragione zero - Orgoglio uno. Ancora una volta.

E pensare che sarebbe così semplice chiudere la bocca. Sedersi da soli sul divano e stare zitti per qualche istante. Poi alzarsi, andare nell’altra stanza, prendere fiato e dire “mi dispiace”. E se due parole sono ancora troppe per il nostro orgoglio infantile, possiamo sempre iniziare con "scusa".

La pratica porta alla perfezione. Provare per credere.

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