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Svegliata dalla voce del vento

Carlotta Cerri
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Il vento. Finalmente. Oggi è uno di quei giorni qui a Marbella. Alberi animati, onde impazzite, persone in bilico sui marciapiedi. Oggi è uno di quei giorni in cui capisco perché sono qui. In cui ricordo perché sono qui. L’estate dei miei 14 anni mi vedeva in Irlanda, su una delle isole Aran. Intorno a me, solo mare e vento. Tanto vento da far fatica a respirare. Tanto che mi entrò dentro e lì rimase.

Quello stesso giorno comprai il Claddagh Ring, me lo misi al dito e non lo tolsi mai più. Simbolo nazionale di libertà, amore e amicizia. Per me, molto di più. Simbolo della mia indipendenza, della mia capacità di reggermi senza bastoni, di cadere in piedi se è necessario cadere. O di rialzarmi, comunque.

Quello stesso giorno mi innamorai del vento. Forse perché se chiudo gli occhi e sento il vento, mi trovo ancora su quella scogliera a picco sul mare con le onde che tentano di raggiungermi. Forse perché mi dà la sensazione di poter aprire un ombrello e volare via. Vedere il mondo da una nuvola.

Credo di essermi innamorata dell’Irlanda per il suo vento, prima ancora che per le sue distese verdi e le persone amabili che la popolano.

Da allora mi è sempre mancato il vento fino a quando sono atterrata qui a Marbella. Qui non manca mai la sua voce. A volte, soffia tanto forte da portarti via. Le vecchiette per strada ballano e tornano ragazzine. I surfisti escono sulle loro tavole. Gli alberi si inchinano al tuo passaggio – qualcuno di loro non ce la fa e si sacrifica al Dio Eolo.

Quando è così, il vento parla talmente forte che mi sveglio la mattina e già so che sarà uno di quei giorni. E allora, per terra, metto il piede giusto.

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